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In Liguria un bando per migliorare le stalle

Dare un premio in denaro agli allevatori che, andando oltre agli obblighi di legge, investono nel benessere animale. L’iniziativa è della Regione Liguria.

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©dolgachov / 123rf.com

Il bando per il benessere animale della Regione Liguria

Come si incentiva l’“allevamento di eccellenza”, quello capace di coniugare le necessità economiche e produttive con il benessere degli animali? Anche attraverso un premio, se necessario. L’idea è di Alessandro Piana, agrotecnico di formazione, imprenditore agricolo di mestiere ora vicepresidente della giunta regionale della Liguria

 

Su sua iniziativa, la Regione ha aperto un bando legato alla misura 14 per il 2022 del Programma di sviluppo rurale. Le aziende zootecniche virtuose, cioè quelle che vanno oltre il puro e semplice rispetto delle normative, potranno incassare un bonus che arriva a un massimo di 300 euro per ogni bovino adulto. Per pollame, pecore e capre sono previsti fino a 230 euro a capo. In totale sono stati stanziati 364mila euro, una cifra che potrà essere incrementata.

 

I criteri che verranno valutati? 

  • Disponibilità di acqua e mangime per gli animali.
  • Stalle sufficientemente luminose, spaziose e ventilate.
  • La possibilità, per il bestiame, di passare regolarmente del tempo all’area aperta. 

 

Queste condizioni, si legge nel bando, sono indispensabili per la “sensibile diminuzione dello stress e della sofferenza degli animali”. Ragionando in termini egoistici, sono utili anche all’uomo perché riducono la probabilità di diffusione di patologie.

 

Gli allevamenti intensivi, covi di malattie

Molti hanno puntato il dito contro i pipistrelli, accusandoli di essere responsabili dello scoppio della pandemia da coronavirus contro la quale stiamo combattendo da due anni. La loro responsabilità, però, è tutt’altro che dimostrata. 

 

Molto più di rado invece si sente dibattere di una realtà scientifica che appare ormai incontestabile: negli allevamenti intensivi gli agenti patogeni si diffondono molto più in fretta, perché gli animali prima vengono movimentati per lunghe distanze, poi vengono stipati in spazi ristretti. 

 

Alcuni studi scientifici sostengono addirittura che il 73% delle malattie infettive emergenti provenga dagli animali. E che le specie allevate, in particolare, siano propense a trasmettere i virus all’uomo (è il cosiddetto “salto di specie”, un’altra espressione entrata nel vocabolario comune dal 2020 in poi). 

 

Quando si sono verificati i primi casi di contagio da coronavirus negli allevamenti di visoni, i governi sono subito corsi ai ripari. Anche attraverso scelte drastiche, come l’abbattimento di tutti i 15,5 milioni di visoni allevati in Danimarca. Una crudeltà inaudita e – pare – anche non pienamente giustificabile né a livello legale né a livello sanitario. 

 

La realtà, però, è che le misure emergenziali arrivano soltanto fino a un certo punto. Un problema di sistema impone una risposta altrettanto di sistema. Si potrebbe cominciare per esempio smettendo di attingere dalle casse dello Stato (o dell’Unione) per erogare sussidi agli allevamenti intensivi. 

 

La proposta è dell’organizzazione ambientalista Greenpeace, che è andata a scandagliare gli aiuti che vengono stanziati sulla base della Politica agricola comune (Pac) vigente. Includendo anche quelli rivolti alla produzione di mangimi, si arriva a un totale compreso tra i 28 e i 32 miliardi di euro all’anno.