Lione mette al bando il foie gras
C'è davvero bisogno di foraggiare un business crudele e disumano, condannando le oche a una vita di sofferenze, pur di mangiare una tartina col foie gras? Il sindaco di Lione sostiene di no.
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La crudeltà del foie gras
Uno dei momenti più esilaranti del classico Disney “Gli aristogatti” è quello in cui le oche (di nome e di fatto) Adelina e Guendalina Blabla incontrano il loro adorato zio Reginaldo, ubriaco fradicio, mentre sfugge per un soffio al cuoco di un ristorante parigino.
Le reali tecniche di produzione di foie gras, purtroppo, non hanno nulla di così divertente. Negli allevamenti si infila un tubo metallico nella gola delle oche, per ingozzarle in continuazione fino a farle ammalare di steatosi epatica, una malattia che fa ingrossare il fegato anche di dieci volte più del normale.
Ciò significa che i poveri animali vivono una breve vita costellata di atroci differenze, lontana anni luce da qualsiasi standard di benessere. Tant’è che in tutta l’Unione europea questa pratica è bandita, perché ritenuta incompatibile con la direttiva del 1998 sul benessere animale.
Essa infatti recita: “Agli animali deve essere fornita un'alimentazione sana adatta alla loro età e specie e in quantità sufficiente a mantenerli in buona salute e a soddisfare le loro esigenze nutrizionali. Gli alimenti o i liquidi sono somministrati agli animali in modo da non causare loro inutili sofferenze o lesioni e non contengono sostanze che possano causare inutili sofferenze o lesioni”.
La vicenda sarebbe chiusa se non fosse per una significativa eccezione, sottolineata dalla ong Essere Animali: la Francia, patria incontrastata del foie gras, rimane autorizzata a produrlo. E, come lei, anche Bulgaria, Spagna, Ungheria e Belgio. Ciò significa che questi Paesi possono esportarlo indisturbati in tutti gli altri, vanificando il divieto.
Il “no” del sindaco di Lione
Anche per questo ha fatto molto scalpore la presa di posizione del sindaco di Lione, il Verde Grégory Doucet, che ha abolito il foie gras dai buffet degli eventi pubblici. Interrogato dal Gambero Rosso sul perché, risponde: “Come amministratore sento la responsabilità di spendere in modo responsabile il denaro pubblico e, come tutti sappiamo, il foie gras non è una specialità a buon mercato. Non utilizzarlo nelle varie situazioni istituzionali può essere, in prima battuta, un buon risparmio sul capitolo di spesa per i catering e tutto quanto ruota attorno”.
Può sembrare un’inezia, ma non lo è in un Paese per cui il fegato d’oca è un caposaldo della storia culinaria. In un momento storico in cui le città sono chiamate a rispondere alla sfida climatica e ambientale, però, vale la pena anche di ripensare certe tradizioni. “Dobbiamo andare nella direzione dei prodotti locali, biologici che producano meno impatto ambientale. E, in questo contesto, anche il benessere animale deve essere preso in considerazione”, continua Doucet.
E in Italia? La buona notizia sta nel fatto che l’attivismo ha dato i suoi frutti. Grazie alle campagne portate avanti dalle ong, Essere Animali in primis, tredici tra le maggiori insegne della grande distribuzione hanno tolto il foie gras dagli scaffali: da Esselunga a Coop, da Carrefour a Iper. Perché le alternative esistono, sono altrettanto soddisfacenti per il palato ma non comportano l’inutile sacrificio di queste creature senzienti. E perché ogni cambiamento comincia a piccoli passi, e l’aperitivo di Capodanno non fa eccezione.