Ecoansia, ne soffrono anche i bambini italiani
La crisi climatica è un pensiero fisso anche per bambini e bambine delle scuole elementari: una ricerca mette in luce come molti di loro vivano questa prospettiva con preoccupazione, tanto da poter parlare di ecoansia.
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La crisi climatica non è più una prospettiva lontana: è un qualcosa che tocchiamo con mano in prima persona, quando boccheggiamo per l’ennesimo record di temperatura o dobbiamo metterci al riparo da nubifragi troppo violenti per poter essere descritti come semplice “maltempo”. Questa consapevolezza può tradursi in una sensazione di ansia difficile da placare, incidendo così sul benessere psicologico: in tal caso si parla di ecoansia.
Cos’è e come si manifesta l’ecoansia
La prima cosa da chiarire sull’ecoansia è che non si tratta di un vero e proprio disturbo mentale classificato nel DSM-5 (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali): il termine è stato coniato in ambito mediatico e ormai si è consolidato nel linguaggio comune.
Per soffrire di ecoansia, non è sufficiente mostrarsi tristi o spaventati per un singolo disastro ambientale. Si tratta piuttosto di uno stato di angoscia e preoccupazione costante per l’impatto dei cambiamenti climatici. Chi ne soffre, di norma:
- crede che il destino dell’umanità sia già segnato e, di fronte a questa prospettiva, non riesce più a sentirsi tranquillo;
- segue con grande trasporto le notizie sulla crisi ambientale in corso, arrabbiandosi vigorosamente con chi, al contrario, mostra indifferenza;
- cerca di fare tutto il possibile per ridurre il proprio impatto in termini di emissioni ma, nonostante tutti questi sforzi, si sente comunque impotente;
- prova una sensazione di “solastalgia”: sente cioè la mancanza dei territori in cui è nato o a cui è profondamente legato, vedendoli già cambiati rispetto al passato;
- prova una forte tristezza e angoscia nel pensare al futuro del pianeta e dell’umanità.
Lo studio dell’università di Pavia sull’ecoansia nei bambini
Le nuove generazioni sono, inevitabilmente, quelle che pagheranno il prezzo più alto di una crisi climatica per cui non hanno nessuna colpa. E, anche in virtù del grande lavoro educativo su questi temi, sembrano aver interiorizzato questo concetto fin dalla più tenera età.
Lo dimostra una ricerca – tra le prime in Italia – condotta sotto la supervisione scientifica del laboratorio di Psicologia della salute del dipartimento di Scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’università di Pavia, in collaborazione con Triplepact Società Benefit, che rientra nel progetto educativo “A scuola di acqua” realizzato da Scuolattiva onlus in collaborazione con il Gruppo Sanpellegrino.
I ricercatori hanno sottoposto a un campione di circa mille bambini e bambine, di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, una survey online (tecnicamente si parla di metodologia CAWI, Computer Assisted Web Interview). Quasi tutti – il 95%, per la precisione – si dicono preoccupati per il futuro dell’ambiente. Quattro su dieci riferiscono di avere fatto un brutto sogno legato all’ambiente o al clima, o di aver fatto fatica a mangiare o ad addormentarsi per la preoccupazione.
I più giovani, ad ogni modo, non si arrendono. Quasi tutti (il 97,2%) credono che il loro contributo possa fare la differenza; e quasi tre su quattro (72%) continuano ad avere fiducia negli adulti, esortandoli a fare di più per la tutela del pianeta.