Armani rinuncia alla lana d'angora
Il Gruppo Armani annuncia che rinuncerà, a partire dalla stagione autunno-inverno 2022-2023, a utilizzare nei suoi capi la lana d'angora, materia prima che LAV, PETA e altre organizzazioni animaliste identificano come causa di sofferenza e crudeltà. Il brand si unisce a centinaia di altri marchi, che si sono impegnati a bandire l'angora dai propri capi e accessori.
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“Sono lieto di annunciare l'eliminazione della lana d'angora da tutte le collezioni del gruppo, a testimonianza di un impegno tangibile per il controllo delle proprie produzioni rispetto alla tutela del mondo naturale. Credo da sempre nell'innovazione e nella ricerca di nuovi materiali e di metodi innovativi per il trattamento delle materie prime tradizionali”.
Con questa comunicazione lo stilista Giorgio Armani rivela la rinuncia da parte del suo gruppo all'utilizzo di una materia prima identificata da LAV, PETA e da altre organizzazioni animaliste come causa di atroci crudeltà.
Stop alla lana d'angora
A partire dalla stagione autunno-inverno 2022-2023, Armani non utilizzerà, dunque, più lana d'angora. Il materiale sarà bandito da tutte le collezioni delle sue linee (Giorgio Armani, Emporio Armani, EA7 e Armani Exchange) e si aggiungerà all'elenco dei materiali esclusi dall'animal-free policy del gruppo, come la pelliccia animale.
“Questo ulteriore traguardo del Gruppo Armani è in parte anche il frutto di un percorso di confronto e dialogo con la Lav, consolidato ormai da anni” ha dichiarato Simone Pavesi, responsabile area Moda animal free di Lav. “In diversi incontri abbiamo rappresentato le criticità della filiera della lana ricavata dai conigli d'angora segnalando questo materiale tra i prioritari da dismettere in una prospettiva di maggiore sostenibilità ed eticità della moda”.
Una scelta che ha raccolto il plauso di altre associazioni animaliste, in primis la PETA: “I consumatori di moda socialmente consapevoli di oggi non vogliono avere niente a che fare con un’industria che strappa i peli dai corpi dei conigli ancora vivi”, ha affermato il vicepresidente dei programmi internazionali di PETA Mimi Bekhechi. “PETA celebra la decisione di Armani di estendere la sua politica no-fur includendo l’angora, che incoraggia tutti i designer che ancora la usano a stare al passo con i tempi”.
Armani non è il primo a dire stop all'utilizzo di tale lana, nel nome di un'industria della moda cruelty-free. Il marchio si unisce, infatti, a centinaia di altri grandi marchi- tra cui Valentino, Gucci, Diane von Furstenberg, Calvin Klein, Burberry, Tommy Hilfiger, Furla, Stella McCartney– che si sono impegnati a bandire l'angora dai propri capi e accessori.
Le crudeltà dell'industria dell'angora
Secondo quanto riportato da Lav, l'angora è un filato che si ricava dagli omonimi conigli con una modalità particolarmente cruenta: gli animali sono infatti immobilizzati su assi di legno, con gli arti legati, mentre il pelo viene letteralmente strappato dal corpo. Al termine di tale, barbara pratica, gli animali sono lasciati a sé stessi, agonizzanti.
Una fetta consistente di produzione di lana d’angora avviene in Cina. Tuttavia- come dimostra l'investigazione della ONG One Voice in Francia- anche spostandosi in Europa, i metodi utilizzati per ricavare la materia prima restano spietati.
Armani, passi avanti verso sostenibilità e benessere animale
Da poco nominato Cavaliere di Gran Croce, alta onorificenza conferitagli da Sergio Mattarella, da anni il “re della moda” Giorgio Armani compie passi avanti, in direzione di un fashion system più sostenibile e più attento: all'origine delle materie prime, ai metodi con i quali vengono ricavate e lavorate.
In accordo con la Fur Free Alliance, dal 2016 il marchio italiano ha introdotto una politica fur free, abolendo l'utilizzo di pellicce animali da tutti i suoi prodotti.
E' di tre anni più tardi, invece, l'adesione del brand al “Fashion Pact”, patto internazionale con il quale le principali aziende del settore si sono impegnate ad affrontare in modo concreto i temi del clima e dell’ambiente.