La cacciatrice che paga per uccidere una giraffa
Pagare 1.500 sterline per uccidere una giraffa, posare di fianco al suo cadavere ed estrarne il cuore. La macabra "impresa" di una cacciatrice sudafricana ha suscitato sdegno.
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©Eugen Haag / 123rf.com
Una cacciatrice influencer
Vanta più di 83mila like su Facebook Merelize van der Merwe, 32enne sudafricana che di sé stessa dice: “La caccia non è qualcosa che faccio, è quello che sono”. Più di cinquecento, sostiene, gli animali a cui ha sparato per seguire una passione che si porta dietro fin dall’adolescenza. Tra loro anche tigri, leoni, zebre.
Nella sua pagina, che volutamente non linkiamo, la fervente cacciatrice tiene aggiornati i suoi follower sulle sue “imprese”. Tra le più recenti ce n’è una talmente macabra da aver scatenato una pioggia di commenti indignati.
Alla vigilia di San Valentino è stata infatti raggiunta da una notizia che aspettava da anni: aveva ottenuto l’autorizzazione per uccidere un’enorme giraffa, a fronte di un pagamento di 1.500 sterline. Nel video postato su Facebook, non adatto alle persone più impressionabili, si vede chiaramente il magnifico esemplare che crolla rovinosamente a terra, abbattuto da un colpo di fucile.
Ma non è finita qui perché la cacciatrice, dopo aver posato sorridente con il cadavere, ha estratto il cuore dell’animale a favore di telecamera, a mo’ di omaggio per San Valentino. A seguito di queste immagini shock è stata lanciata una petizione su Change.org che chiede a Facebook di cancellare il suo profilo.
Di fronte alle reazioni critiche – quando non violente – degli utenti, van der Merwe si è difesa accusandoli di ipocrisia, sostenendo di conoscere l’Africa molto meglio di loro e ricordando di aver contribuito a un progetto scolastico con la sua dettagliata descrizione del cuore della giraffa.
Caccia al trofeo, una pratica controversa
Tecnicamente quello che fa l’influencer sudafricana si chiama caccia al trofeo. È una pratica regolamentata dalla Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) che prevede, appunto, di uccidere grandi animali appositamente selezionati tra cui elefanti, orsi, giraffe, rinoceronti. Il trofeo in questo caso è proprio l’animale che il cacciatore può conservare come se fosse un souvenir.
Le regole della Cites impongono che alla base ci sia un piano di abbattimento volto a preservare l’equilibrio tra le specie selvatiche. Gli strenui difensori di questa pratica, inoltre, sostengono che rappresenti una fonte di reddito per la popolazione locale e un incentivo per la conservazione dell’ecosistema.
È di parere radicalmente opposto Peta (People for the Ethical Treatment of Animals. “I cacciatori di trofei e coloro che si guadagnano da vivere vendendo battute di caccia e accessori amano affermare di uccidere gli animali nel nome della ‘conservazione’, ma non c’è ‘conservazione’ nella caccia al trofeo; solo crudeltà e corruzione”, scrive l’organizzazione animalista in una nota.
L’equilibrio dell’ecosistema – continua – si mantiene in virtù del funzionamento stesso della catena alimentare, non certo per l’intervento dell’uomo (che, anzi, lo disturba, uccidendo gli esemplari più imponenti e in salute). Anche i proventi finiscono nelle tasche di pochi grandi possidenti, non certo delle fasce più povere della popolazione; a dimostrarlo sarebbe anche una recente indagine condotta in Sudafrica sotto copertura.