Shiatsu in carcere: il progetto "Non solo mimosa"
Stefania Ferri ha incontrato lo Shiatsu alla fine degli anni ’70 e si è sempre impegnata per far entrare questa tecnica nei luoghi di cura. Nella casa circondariale di Bologna "Non solo mimosa" è il progetto rivolto alle detenute.
Stefania Ferri ha incontrato lo Shiatsu alla fine degli anni ’70 riconoscendo a questa disciplina il potere di trasformazione che esercita sulle persone che lo ricevono.
Lo shiatsu, allora, può diventare un servizio, un contributo alla comunità in cui si vive come atto importante di impegno civile e di gratitudine. Per questo Stefania si è impegnata in particolar modo a far conoscere lo shiatsu nei contesti dove si svolgono “relazioni di cura”, focalizzando la sua attenzione alle problematiche connesse ai comportamenti devianti e deviati della persona. Il carcere di Bologna è uno di questi luoghi.
Parlaci del Progetto “Non solo mimosa”
E’ stato promosso nel 2014 dalla Consigliera Comunale Mariaraffaella Ferri, allora Presidente della “Commissione delle Elette” del Comune di Bologna (oggi “Parità, pari opportunità e Diritti”), insieme a Claudia Clementi, Direttrice della Casa Circondariale e dalla Dott.ssa Laganà, allora Garante per i diritti delle persone private della libertà.
“Non solo Mimosa” è pensato per la salute e il benessere fisico e psicologico delle donne detenute nella Sezione femminile del carcere bolognese e vede attualmente coinvolte numerose associazioni e singole professioniste di vario genere che offrono, oltre a una simbolica mimosa il giorno dell’8 marzo quando si va in visita, una concreta e ampia programmazione di attività dedicate alle donne e al tema della detenzione.
Il Progetto “Non solo Mimosa” ha visto la luce iniziando proprio con un laboratorio di shiatsu, poi è stato ampliato con Podologia e Riflessologia con l’obiettivo di coinvolgere il più ampio numero di detenute.
Lo shiatsu raccoglie in sé il significato di Contatto, Sostegno, Protezione e Ascolto, elementi che non sono solo circoscritti alla pressione con le mani durante un trattamento.
Contestualmente esprimono anche una qualità empatica fisica, energetica, emozionale e spirituale di comunicazione non verbale e non violenta con l’altro. Qualità queste che mi permettono di poter accogliere e integrare nel gruppo di lavoro persone di lingue e culture diverse e soggetti più fragili, come i soggetti psichiatrici detenuti nell’Articolazione (un’area presente nella Sezione Femminile).
Inizialmente la maggiore difficoltà è stata quella di rompere la diffidenza non solo delle detenute ma delle Assistenti di Guardia, poiché senza il loro supporto non avremmo potuto comunicare e informare dell’attività le donne che non parlano italiano.
Non è stato semplice stimolarle, motivarle e toglierle dal torpore dei giorni tutti uguali ma già dai primi incontri le partecipanti aumentavano di numero e tutte le praticanti si ponevano in una condizione di ascolto percettivo e disponibilità, con un atteggiamento di fiducia e di cura, di reciproco “maternage”.
E’ stato quindi possibile costruire insieme un percorso di conoscenza, percezione e consapevolezza corporea, insegnare alle partecipanti a utilizzare strumenti utili nella gestione e nel contenimento di stati fisici ed emotivi come stress, tensione, rabbia, ansia e dolore, anche fisico, che possono emergere in una condizione di “chiusura”, come quella in cui si vive all’interno del carcere.
Non è facile alienarsi dal contesto in cui si pratica, il carcere, e sono consapevole della particolare condizione che queste donne vivono, quindi agisco con massimo rispetto e cautela nel condurle in luoghi profondi del loro sentire, a contatto con la loro anima. Qui e ora. Nel Qui e Ora possiamo toccarci e guardarci negli occhi senza imbarazzo e senza il bisogno di parole, qui e ora nascono spontanei il sorriso e un autentico abbraccio affettuoso, libero da pregiudizi, che porto con me ogni volta che torno a casa. Libera.
Credit foto
©Progetto Non solo Mimosa
Chi sono le donne che hai incontrato?
Donne di ogni età, dalle ventenni alle ultrasessantenni. Alcune sono italiane ma prevalentemente si tratta di straniere - ad esempio donne sudamericane “usate” senza scrupoli nel traffico della droga - donne dell’est, rom.
Molte di loro sono afflitte da un alto grado di ansia e depressione, spesso utilizzatrici di psicofarmaci; ci sono tossicodipendenti che mi seguono benissimo e attuano un percorso di crescita che fa ben sperare.
Non tutte sono provenienti da situazioni di degrado o da ceti meno abbienti, ci sono anche donne che hanno compiuto errori o sono state coinvolte, forse per ingenuità, in attività illecite legate al loro lavoro.
Sono, guardando al loro passato, preoccupate per il loro futuro ma hanno maturato maggiore consapevolezza; “approfittano” della molteplicità degli strumenti messi a loro disposizione non solo per crescere interiormente ma anche per imparare, per ottenere nuove competenze, personali, relazionali, formative, da utilizzare un giorno all’esterno.
Alcune seguono corsi universitari, vogliono diventare avvocati o psicoterapeuti. Io spero in un carcere educativo e riabilitativo, non meramente punitivo come rischia di accadere oggi in molti luoghi di detenzione.
Conseguentemente, tutte le attività che propongo vanno in questa direzione perché ritengo che lo shiatsu sia in grado di supportare una profonda trasformazione nelle persone, educandole e rendendole maggiormente consapevoli di ciò che sono e delle azioni che mettono in pratica.
C’è un incontro che ti ha più colpito?
In questo contesto ogni storia è unica, talvolta lacerante ma ho fatto la scelta di non chiedere troppo circa le motivazioni che le hanno condotte in carcere, per rispetto, per riservatezza e per non essere condizionata da un eventuale giudizio nei loro confronti.
A proposito del pre-giudizio e del condizionamento che possiamo subire, anche inconsciamente, posso invece raccontare un episodio che mi è capitato. Prima di una lezione, mentre stavo entrando nella piccola palestra dove mi aspettava il gruppo, vengo avvicinata da un’assistente di guardia che, sottovoce, mi chiede se posso ammettere una detenuta dell’Articolazione, l’area psichiatrica della Sezione Femminile.
Il fare “guardingo” dell’assistente mi turba un po’ ma acconsento incuriosita. Si presenta una ragazza molto giovane con due grandissimi occhi neri, spalancati, che mi scrutano fissi da capo a piedi. Non è molto alta, ma ha una stazza “ben piazzata”. Noto un filo di agitazione nelle altre partecipanti, come la superficie dell’acqua che si increspa appena con un lieve soffio e immediatamente decido di fare coppia con lei, evitando qualsiasi eventuale scena di imbarazzo. Tutte le donne si mettono a coppie e cominciamo a praticare. Ogni tanto, mentre tratto la ragazza, lei fa gesti
inconsulti come per attirare l’attenzione e, all’improvviso, emette una possente e inquietante risata, poi si acquieta e, infine, si addormenta.
Al termine del trattamento si solleva un po’ stranita e mentre mi giro per rispondere a una richiesta, mi prende alle spalle cingendomi il collo con le
sue braccia forti. Per un attimo ho sospeso il respiro, mi sono irrigidita e ho pensato a vie di fuga, poi lei mi ha dato un tenerissimo bacio.
Mentre io mi ero lasciata inconsapevolmente condizionare dalle circostanze e dal vissuto delle varie persone coinvolte, lei voleva solo ringraziarmi per lo Shiatsu che aveva ricevuto!
Mi dice, inoltre, che nessuno l’aveva mai trattata in tutta la sua vita con tanta gentilezza e affetto. Questa ragazza è stata poi tra le più assidue, appassionate e attente praticanti di Shiatsu che io abbia incontrato in carcere.
Solo in seguito lo psichiatra che la segue, stupito delle sue positive reazioni, mi ha raccontato la sua raccapricciante storia personale e famigliare fatta di abusi e violenze subite in un contesto degradato.
In quali altri progetti ti sei impegnata con questa stessa motivazione?
Dal 1995 al 2013 ho promosso e coordinato iniziative per l’assistenza e il recupero di tossicodipendenti nei Sert, nei Centri Diurni, in case protette (piccole comunità) e nel reparto di “Disintossicazione, Diagnosi e Cura” di una struttura convenzionata di Modena.
Nel 1996 ho attivato un progetto pilota all’interno dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile e Centro Regionale per i Disturbi del comportamento alimentare (Dca) del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, per il trattamento di anoressia e bulimia.
In seguito agli eventi sismici del maggio 2012 sono stata promotrice di "Tocchiamo il cuore dell'Emilia" a San Felice sul Panaro lavorando in una casa di cura psichiatrica.
Cosa ti auguri per il futuro?
Penso che lo shiatsu sia una disciplina che può avere un forte ricaduta sociale, basta anche solo pensare ai comportamenti virtuosi che suscita e ai molteplici progetti di volontariato sparsi sul territorio italiano e nel mondo, che erogano migliaia di trattamenti a costo nullo per la comunità migliorando la qualità della vita delle persone.
Lavorando in molti contesti e spesso in strutture sanitarie, sono frequentemente a contatto con professionalità di ogni tipo; ho sempre cercato di essere molto chiara sul tipo di intervento che propongo e non l’ho mai messo in contrapposizione o in sostituzione di altre tipologie di trattamenti o terapie.
Negli anni lo Shiatsu si è fatto strada e ha conquistato la fiducia di questi professionisti. Nonostante le mie positive esperienze e quelle di tanti altri colleghi, penso che sia necessario l’impegno di tutti gli shiatsuka per riuscire a far comprendere e apprezzare i vantaggi di questa straordinaria Disciplina, perché gli attuali modelli organizzativi, i protocolli, il concetto di salute e soprattutto la cultura dominante, ostacolano la realizzazione di reali interventi integrati e sinergici dove la persona è posta al centro del proprio progetto vitale.
Riferimenti per contattare Stefania: stefania.shiatsu@gmail.com