Danzaterapia: il movimento autentico che abita il corpo
Lei cerca il movimento che "vuole accadere" e considera il sistema nervoso stesso come una forma di danza. Naomi Milne è una danzaterapeuta con lunga esperienza, formazione e forma mentis davvero globale. Si muove tra Europa e America, lavora con disabili e schizofrenici. Le abbiamo fatto qualche domanda e abbiamo ottenuto risposte preziose, sorprendenti
I grandi li riconosci perché non hanno smania di apparire tali. Non sbraitano, non usano molto il pronome personale declinato in prima persona, ascoltano. Naomi Milne, professionista della danza moderna e danzaterapeuta con lunga esperienza, è così. I grandi li puoi guardare negli occhi, perché fanno lo stesso con te. Muovendosi nel mondo, portano addosso il loro talento, la loro arte.
"The movement that wants to happen". Ecco cosa cerca e cosa ha sempre cercato Naomi Milne. Come se il gesto fossse un'epifania, anche quando a compierlo sono persone che non rientrano nell'etichetta che delinea il confine tra normalità e condizione deficitaria.
Il movimento travolge le etichette perché è un linguaggio universale, di questo la Milne è convinta.
Dopo anni di formazione tra New York e il Colorado nel campo della danza moderna e del movimento applicato alla psicologia, Naomi Milne si sposta a Londra, dove il sistema sanitario nazionale finanzia attività di danzaterapia. Siamo nel 1979, in quel periodo ancora nel Regno Unito non esistono veri e propri corsi di danzaterapia. Da quel momento e sino a oggi Naomi ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca nel settore della danza-movimento terapia.
Far danzare chi ha perso il contatto con il corpo o chi non lo controlla del tutto, chi non distingue tra reale e irreale...
Prima di iniziare l'intervista sento di dirti una cosa, se posso, un dettaglio che potrebbe essere rilevante: prima di lavorare con queste persone, non faccio mai domande sui loro disturbi. Accade che venga informata al riguardo, che qualcuno condivida la cartella clinica, ma generalmente evito domande di questo tipo, perché le risposte sarebbero ostacoli al mio lavoro, costrizioni.
Quando insegno sono i miei sensi che lavorano, tutti. Non mi interessano le diagnosi, le catalogazioni, le patologie; durante le lezioni cerco il movimento autentico interno al sistema della persona.
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Hai lavorato con persone schizofreniche. Spesso i medicinali usate dal sistema di cura convenzionale per trattare questo disturbo hanno effetti collaterali come sonnolenza o aumento di peso, tutti fattori che influenzano la qualità del rapporto col proprio corpo. Accade allora che un danzaterapeuta si trova a dover lottare contro la cura stessa?
Mai mi sono fermata ai sintomi o agli effetti collaterali. Io cerco la persona che sta dietro o sotto agli effetti collaterali delle pillole, dei medicinali; c'è sempre uno spiraglio che consente di vedere, al di là delle conseguenze indotte. Nella persona, poi, cerco il movimento autentico che naturalmente vuole manifestarsi.
Però queste stesse medicine mitigano possibili reaizoni violente, calmano voci che inducono ad azioni masochiste.
Sì, e posso dirti che ho sempre lavorato in presenza di operatori sanitari che effettuavano un monitoraggio costante. Ma non è questo il punto. Semplicemente, le cure mediche non sono il nemico.
La prospettiva per me non è decidere se i medicinali sono i buoni o i cattivi della situazione. Io vado oltre, e lì il terreno si fa interessante. Se non credessi nel fatto che tutti possono muoversi non avrei potuto fare questo lavoro.
Nelle tue lezioni accade che queste persone danzino insieme?
No, non induco verso questa direzione, a meno che coloro con cui lavoro non ci vadano spontaneamente. In generale le mie lezioni accolgono più persone, ma il lavoro è individuale, proprio per evitare di aggiungere una sovrastimolazione.
Lavorare con persone disabili è portare il movimento nell'assenza di possibilità motoria?
Le persone disabili sono limitate nell'esecuzione ma possono sentire il movimento. All'inizio delle mie lezioni la posizione è spesso seduta, la mia voce guida, chiede quale parte del corpo si sente e quale no. Le parole veicolano la ricerca della sensazione.
Non insegno per riparare persone che alcuni vedono come meccanismi inceppati, no. Svolgo le mie lezioni di danzaterapia ispirata da una certa forma di fede: la fede nel corpo, il corpo inteso come entità che cerca l'unità, che vuole farsi integro.
In una lezione di danzaterapia dunque anche il linguaggio diventa importante. Hai imparato a usarlo in modo efficiente o è un dono personale?
Entrambe le cose credo, più una terza variabile: non c'è insegnante di danzaterapia valido che non sia esso stesso allievo e frequenti lezioni di altri colleghi danzaterapeuti. Si devonoi ricevere lezioni di danzaterapia; ricevere, in generale, è importantissimo, presuppone l'apertura.
La danzaterapia e la danza-movimento terapia agiscono sul sistema nervoso con notevoli risultati. In che rapporto stanno il movimento e la nostra preziosissima unità morfo-funzionale che elabora i segnali bioelettrici?
Ti direi che il sistema nervoso stesso, in quanto fluido e dinamico, è una danza. La danza che ci abita.
Una citazione di Nureyev: "Un passo a due è un dialogo d'amore. Come può sussistere una conversazione se una delle due persone è muta?"
Questa è l'esperienza del grande ballerino che è stato Nureyev. Dalla mia prospettiva direi che è proprio in quel silenzio che inizia il mio lavoro. Andare dietro quel mutismo, questa la vocazione che muove la curiosità. Ascoltare quel che non si sente per penetrare una realtà che non è espressa con il linguaggio convenzionale, ma passa per vie comunicative diverse.
Immagine | Naomi Milne