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Cannabis light: cosa prevede la legge in Italia

In Italia la cannabis light, cioè con un bassissimo contenuto di THC, è legale dal 2016. Ma il ddl Sicurezza potrebbe condannare a morte l’intera filiera.

di Redazione

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©Matthew Brodeur/Unsplash

È uno di quegli argomenti sempre scottanti, posti sotto luci diverse a seconda dell’orientamento del governo. Talvolta è descritta alla stregua delle droghe pesanti, talvolta invece sbandierata per le sue qualità farmaceutiche e terapeutiche. Stiamo parlando della cannabis light: tra annunci, smentite e ricorsi, cerchiamo di fare un po’ di ordine su cosa prevede la legge in Italia.

 

Cosa si intende per cannabis light

La canapa è una pianta estremamente versatile, coltivata e usata dall’uomo fin dalla notte dei tempi. In Italia la sua coltivazione è stata a lungo vietata, salvo poi ricevere un via libera con la legge 242 del 2016, limitatamente però alla cannabis light. 

 

Ma di cosa si tratta esattamente? La pianta è sempre la cannabis sativa, ma l’attributo “light” sta a significare che il contenuto di THC (tetraidrocannabinolo) è inferiore allo 0,2%, con un margine di tolleranza inferiore allo 0,6%; il che significa che gli effetti psicoattivi sono pressoché nulli. Viceversa, la cannabis light può contenere vari livelli di CBD (cannabidiolo), un altro cannabinoide che contrasta l’ansia e favorisce il relax.

 

La cannabis light non va confusa con quella terapeutica, il cui contenuto di THC è molto più alto. In Italia la cannabis terapeutica può essere coltivata esclusivamente dallo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e può essere assunta solo dietro prescrizione medica. È un trattamento che di norma viene indicato per il dolore cronico, la sclerosi multipla o per contrastare gli effetti di chemioterapia, radioterapia e terapie per l’HIV.

 

Il parere del Consiglio Superiore di Sanità 

La già citata legge 242 del 2016 autorizza la coltivazione e la lavorazione della cannabis per produrre alimenti, cosmetici, materie prime per l’industria, come pianta ornamentale o a fini didattici e di ricerca. Non fa riferimento esplicito ai fini ricreativi. Nonostante ciò, di fatto ha portato alla nascita di un ampio mercato di prodotti a basso contenuto di THC, tra cui oli, miscele da fumare, tisane, estratti.

 

Nel 2018 sul tema è intervenuto il Consiglio superiore di sanità, un organo di consulenza scientifica a cui si rivolgono il ministero della Salute per pareri tecnici o le autorità giudiziarie per ottenere una consulenza in caso di contenziosi. All’epoca, il parere è stato netto e negativo: nell'interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, il Consiglio superiore di sanità consigliava di vietare la libera vendita di prodotti a base di cannabis light.

 

In sostanza, secondo gli esperti, anche a bassissime concentrazioni il THC potrebbe penetrare e accumularsi nei tessuti, provocando effetti a breve e lungo termine. Inoltre, il Consiglio superiore di sanità criticava la mancata valutazione del rischio in specifiche condizioni, per esempio gravidanza e allattamento, presenza di patologie concomitanti, assunzione di farmaci e così via.

 

La stretta voluta dal governo di Giorgia Meloni

Negli anni, il dibattito politico sulla cannabis light è stato più volte acceso. Ora, il governo guidato da Giorgia Meloni sembra intenzionato a mettere una pietra tombale sul settore. A giugno 2024, un decreto del ministero della Salute ha inserito le composizioni per uso orale contenenti CBD nella tabella delle sostanze stupefacenti, permettendone la vendita solo in farmacia, dietro presentazione di ricetta media. Ma il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio lo ha sospeso, accogliendo il ricorso degli Imprenditori canapa Italia (Ici): l’udienza di merito è fissata per il 16 dicembre.

 

Nel frattempo, però, la Camera dei deputati il 13 settembre ha dato il via libera all’articolo 18 del ddl Sicurezza che vieta la lavorazione delle infiorescenze di canapa. Manca ancora il sì del Senato, ma appare piuttosto improbabile che possa rovesciare la situazione; l’unica speranza degli operatori del settore è che subentrino le corti europee.

 

Se diventerà definitivamente legge, infatti, il testo condannerà a morte l’intera filiera della cannabis light: dall’agricoltura fino alla vendita al dettaglio. Come riferisce Wired, oggi in Italia sono circa 800 le aziende che coltivano cannabis light e altre 1.500 si occupano della loro trasformazione, per un totale di 11mila posti di lavoro e un fatturato annuo che si aggira attorno ai 500 milioni di euro.