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Govinda e Siddharta: l'amico come occasione di confronto

Nel celebre libro di Hermann Hesse la descrizione di ogni dialogo tra Govinda e Siddharta è l'espletarsi dell'amicizia in senso puro, intendendo, per amicizia, quel luogo del cuore e del pensiero che accoglie un sentimento sempre aperto al confronto. L'amico, in sostanza, è qualcuno con cui si possono discutere molti temi: dal significato di una vita da vivere nella sua irripetibilità, a partire dal singolo istante, fino all'ostacolo che talvolta il linguaggio può rivelarsi rispetto alla purezza della sensazione. Inoltrandosi persino nella quarta dimensione, il tempo, fatto di istanti che sono parti essenziali del tutto

Govinda e Siddharta: l'amico come occasione di confronto

Cercare, trovare, osservare con purezza

Nel libro di Hesse, Govinda, nonostante gli anni trascorsi nella ricerca, continua a manifestare la sua curiosità il suo bramoso e irrisolto desiderio di cercare. La lunga ricerca, cercare, a tutti i costi, distoglie dalla reale consapevolezza. In un frammento preciso del testo, il barcaiolo apre il discorso sottolineando quanto, se si vuole realmente trovare, sia importante la capacità di vedere. Di seguito, Siddartha precisa come cercare e trovare siano due cose diverse. Esalta poi l’importanza dello stato di osservazione pura, tipica dei bambini, intesa come la capacità di osservare e di vedere quello che ci circonda, non lasciarlo sfuggire dopo una rapida occhiata, di farlo proprio.

 

Irripetibilità dell'esistenza e visione consapevole

Il tema è molto complesso, richiama al significato di una vita unica, la capacità di vivere in un mondo che può sembrare uguale per tutti ma che, in realtà, l’uomo può acquisire come proprio; ognuno, infatti accede alla realtà tramite l’esperienza della propria vita e ha la capacità, anzi, il dovere, di percepire in profondità ciò che lo circonda.

La sfida è la capacità di comprendere a pieno -ognuno in relazione al proprio sé- ciò che fa parte del proprio cosmo. La pressione della società, dei sistemi globali ha, infatti, troppo spesso portato l’individuo alla rinuncia di un pensiero personale, a un osservazione unica, in relazione all’io unico e al momento, in cambio di un pacchetto preconfezionato di concetti definitori che rendono l’insieme degli individui facilmente controllabili e gestibili.

 

Continua Siddartha: la saggezza non è comunicabile a parole. La capacità di vedere, del reale vedere, fa sì che un uomo possa, nel suo intercedere quotidiano, imbattersi in ogni istante in incontri unici, scambi di rara intensità e profondità. L’osservazione, il reale vedere un fiore può permettere a ognuno di noi di cogliere quella unicità assoluta e irripetibile, data dalla bellezza di un’esistenza reale ed irripetibile. Quante volte nella vita di tutti i giorni, fatta di corse, di stress, doveri  (reali?), passiamo di fronte a dei fiori? Quante volte abbiamo la possibilità di percepirne la vera, sostanziale ed unica esistenza? Quante volte abbiamo la possibilità di commuoverci per quella eccezionale e splendida rappresentazione di vita?

 

Spesso tiriamo avanti, accecati dalla nostra frenesia, dalla necessità di soddisfare un sistema padrone che abbisogna di ciechi e dediti adepti che seguano la dottrina preconfezionata, illusi di trovare un meschina sicurezza nel vivere il bieco conformismo. La capacità di vedere consapevolmente, se viene assunta costantemente, apre all’uomo nuove prospettive, conferisce a ciascuno la possibilità di essere arbitro della propria esistenza, di compiere i propri e originali passi, nella relativa esistenza di un singolo, che sarà unicamente e assolutamente originale, irripetibile.
Tutto ciò ci discosta dal dono divino della vita, ma se l’osservazione è individuale, originale, chi può insegnarla? Siddharta mette in guardia Govinda: tutto ciò non puo’ essere trasposto con mere parole, il rischio è di essere incompresi, di sembrare dei folli. O solo diversi e unici?

 

Linguaggio e purezza della visione

Il colloquio tra i due amici continua sullo stesso tema, visto dalla prospettiva della comunicazione e dei suoi limiti. Il linguaggio è il frutto di una convenzione definitoria, di una classificazione concettuale, caratterizzata da tutti i limiti che derivano dalla necessità di racchiudere sensazioni ed emozioni originali in categorie. E’ evidente il limite di tale processo ed il nocumento che ne deriva alla purezza della sensazione. Questo meccanismo troppo spesso, nell’uomo, trasla dalla comunicazione al pensiero, e, per il sistema dominante, è estremamente facile annullare i pensieri originali di ognuno, per sostituirli in qualcosa di simile, ma che ha il pregio (difetto?) di essere facilmente etichettato e, di conseguenza, controllato.

 

Relatività, relatività unica, tempo

Prosegue il discorso accentrandosi sul concetto di relatività. I fenomeni della vita non possono essere definiti solo bianchi o neri, buoni o cattivi, in essi coesistono molteplicità di aspetti. Si esprime il concetto di relativo-assoluto secondo il quale ogni fenomeno quotidiano è percepito da ognuno nella propria relativa assolutezza. Tutto ciò richiama alla filosofia taoista che propugna il concetto della accettazione della vita e dei suoi infinti aspetti per quello che sono; nell’accettazione della diversità e unicità, nella comprensione del momento unico e irripetibile.

 

Consequenzialmente Siddharta inquadra il tema della relatività unica, introducendo il concetto, già più recentemente espresso da Albert Einstein. Il pensiero della quadridimensionalità della nostra esistenza. E’ intuibile, infatti, che i fenomeni che guidano la nostra vita sono collocati e percepibili a pieno su quattro dimensioni. E’ altresì vero che all’uomo sfugge la capacità di vivere la quarta dimensione: il tempo. La nostra capacità in tal senso è paragonabile a quella di un ombra che provasse a percepire la terza dimensione. Nella percezione dell’unico istante per quello che è, simile ad infiniti altri, ma estremamente originale, Siddharta individua la collocazione dello stesso in una dimensione unica ed assoluta, che non possa, tenendo conto della sua storia e dei suoi riflessi antecedenti e posteriori sull’esistenza, essere pensato come finito, ma piuttosto che possa essere percepito come una parte essenziale del tutto, presente in eterno.