Intervista

Il legame tra il teatro e la permacultura

Sono in due (da poco in tre), una coppia. Una forza unica alimentata prima di tutto dalla consapevolezza che si possa imparare la nostra natura attraverso il corpo e che altri mondi siano possibili, lavorando in comunione di intenti. Ilaria Olimpico e Uri Noy Meir ci parlano del progetto Altri Mondi possibili in praxis, un ciclo si seminari e laboratori a Casalbordino in quattro tempi (14-22 giugno; 5-13 luglio; 21-26 luglio; 5-12 agosto; 20-26 agosto)

Il legame tra il teatro e la permacultura

Non che li conosca benissimo, però è scattata subito una specie di affinità. Capita e dicono capiterà sempre più spesso in questa era in cui le connessioni viaggiano veloci e il pensiero ha un potere immediato sulla realtà.  

Ilaria e Uri mi hanno accolto nella loro casa con una luce tutta nuova dentro, la piccola Noa, loro figlia, appena nata.  

Uri è facilitatore di arti partecipative e regista teatrale; ha condotto laboratori trasformativi e formazioni per persone che lavorano nel sociale e nell’educazione, in Nepal, Irlanda del Nord, Usa, Israele-Palestina, Estonia, Croazia, Olanda, Georgia e Italia.

Uri si è formato con rinomate/i praticanti del Teatro dell’Oppresso (TDO) e, nella sua pratica, esplora i punti di contatto tra il TDO e altri approcci e metodologie affini. Negli occhi gli brilla l'amore puro quando arrivano tre parolette magiche che iniziano tutte con la stessa lettera: trasformazione, terra, teatro, permacultura

Ilaria, a partire da una formazione accademica in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ha cercato altre vie possibili, è diventata formatrice, educatrice, facilitatrice di laboratori di teatro sociale e di educazione non formale per adulte/i, ragazze/i e bambine/i. Si occupa di intercultura, questioni di genere e sostenibilità/post-sviluppo, ricercandone le connessioni e gli intrecci.  

Quando parli con loro è chiaro che hai davanti persone che non barano e per barare si intende rimanere incastrati in investimenti dell'ego, restare identificati con ciò che si possiede,con il lavoro che si svolge, lo status sociale. Insieme hanno dato vita a una realtà a Casalbordino, in Abruzzo, un progetto di residenza artistica che prende il nome di Communitas e si articola in quattro residenze (14-22 giugno; 5-13 luglio; 21-26 luglio; 5-12 agosto; 20-26 agosto). 

 

Qual è il legame che unisce natura e teatro? 

Ilaria: Non ho una risposta predefinita però mi viene in mente che il teatro, per come lo vedo io, può aprire porte di dialogo tra mente, corpo e, direi, anima, spirito.

Quindi si rivela uno strumento per operare la riconciliazione tra la parte mentale e quella corporea e dato che il corpo è parte integrante della natura, questa integrazione avviene su più livelli simultaneamente. Una connessione di cui si ha bisogno, considerando che la civiltà attuale tende a sganciare questa connessione corpo-natura.  

Uri: La nostra natura è il teatro, ovvero è attraverso il teatro che si può imparare qualcosa di più sulla nostra natura. Il nostro teatro dell'oppresso o comunque l'attività di comunità è un'esplorazione che ci ha condotto a mettere insieme più elementi fino a rintracciare la connessione intima tra oppressione e ingiustizie con la disconnessione dalla natura e gli abusi stessi contro la natura.  

Abbiamo già avuto modo di sperimentare un altro mondo possibile in Sardegna, luogo che ci ha visto impegnati in un altro mondo possibile messo in scena. Avevamo a disposizione un "giardino segreto" che era stato abbandonato e che una coppia vuole trasformare in un posto dedicato al teatro, alla danza nella natura.

In sintesi noi lo abbiamo "battezzato", siamo arrivati lì e abbiamo dato vita a una comunità. Abbiamo lavorato con un bel gruppo di persone provenienti da tutto il mondo e il processo ha fatto emergere i cambiamenti nella relazione con la natura da quando si è piccoli sino a quando si cresce sino al rapporto futuro che si immagina oltre il presente.

L'avventura è stata ricchissima, anche perché al laboratorio teatrale si è aggiunta l'esperienza in tende, la doccia condivisa, la vita sobria, poco spreco di acqua e lo stare insieme sulla grande terrazza. In Abruzzo si è ripetuto l'esperimento, questa volta con il laboratorio “Riparare la casa, costruire la comunità” con Francesco D'Ingiullo, intrecciando il lavoro sulla terra cruda e il teatro Il filo rosso di entrambe le esperienze è forte ed è quello che collega il fare e il creare, concretamente e duqneu anche nello spirito. 

 

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Parlate di "futuro arcaico" in relazione all'esperienza di Communitas. Perché? 

Ilaria: Ho preso in prestito un'espressione di Mary Daly. Ho partecipato a un cerchio di donne condotto da Daniela Degan ed è stata lei a citare la Daly.

In questa espressione vedo la civiltà dell'Europa antica, le antiche civiltà gilaniche dove sussisteva una reale armonia tra maschile e femminile, tra umanità e natura. Nel richiamare qualcosa che viene dal passato in realtà stiamo visualizzando quello che credo sia l'unico futuro possibile, ora come ora. Si abbatte il paradigma del rapporto gerarchico - che sia tra uomo e donna, umanità e natura, gruppo e gruppo - e si lascia emergere la mutualità, la partnership, per dirla con Ryan Eisler.  

 

Nel progetto avete coinvolto altre persone che definite facilitatori, tra cui la sottoscritta. Perché questo titolo?  

Ilaria: E' una definizione con cui mi trovo molto bene, meglio che con altre. Chi facilita processi creativi di fatto sta educando ma nella chiave del far emergere qualcosa che già esiste. Quando svolgo laboratori nelle scuole, la prima cosa che attuiamo è il passaggio dai banchi in fila al cerchio: ecco, le figure che immaginiamo non mettono in fila, ma mettono in cerchio, facilitano i processi di apprendimento, di critica, di indagine. 

Uri: Uso vari nomi per definire ciò che faccio. Dipende sempre dal contesto, ma in generale il facilitatore è l'artista che vede, che scorge prima la possibilità concreta di quanto ancora deve accadere. Si tratta di vedere la potenzialità di una persona, di coagulare un gruppo, di invitare la connessione, di creare immagini. E' un processo di trasformazione, di metamorfosi. 

Vedo la possibilità e ne facilito la concretizzazione; è un po' come capire qual è la statua che sta già dentro il marmo, per intenderci. 

 

Ci saranno momenti di teatro, di fare con le mani, di permacultura e "pratica vivente del corpo". Poi, dopocena, mi piace molto che avete scritto solo INSIEME, nel programma. 

Uri & Ilaria: (Ridono) Nella versione in inglese lo abbiamo chiamato communitas time. In sintesi, è il tempo spontaneo dello stare insieme, che ha un valore inestimabile. 

 

Tante attività diverse, dalla terra allo spirito, dalla danza alla coltivazione. C'è una certa fluidità che attraversa tutto il programma... 

Uri: Parlerei più di una fluidità tra persone che stanno in uno spazio che è nel mezzo. Augusto Boal ha usato e reinventato un'espressione che mi piace tanto che si chiama metaxis e si riferisce allo spazio tra le cose, tra realtà e finzione, tra definizione, tra divino e fisico.

E' lo spazio in cui la trasformazione è possibile. La stessa matrice ha TheAlbero; il fine è una nuova rete che può crescere, spaziare, esplorare i confini, lo spazio liminale tra danza e permacultura, tra teatro e canto, tra piantar semi e raccontare.

Mischiare la diversità è un po' come fare policultura; policultura da cui si traggono frutti più forti, rispetto alla monocultura. Sulla stessa frequenza è il movimento molto interessante chiamato transition town, creato da persone che parlano del cambio di direzione tra l'economia del petrolio a un altro tipo di struttura economica.

Ci si basa sul contatto vicino, sulla nuova economia locale, valorizzare risorse di rete locale che ha una valenza anche sul piano globale.  

Ilaria: Si passa dalla danza alla permacultura, dal teatro al reportage sui movimenti sociali nel Mediterraneo, dall'ecodesign al metodo del consenso, dal rituale all'apprendimento, perché c'è bisogno di un cambiamento di paradigma.

Per questo abbiamo scelto l'espressione “Altri mondi possibili” perché la parola “mondi” ci rimanda a una dimensione olistica e multidisciplinare, perché crediamo che delle alternative vere debbano essere dei “mondi”, ossia dei paradigmi con immaginari, visioni e pratiche sul rapporto tra corpo, mente e spirito, sul rapporto uomo-donna-natura, sui rapporti tra gruppi di culture diverse, sui rapporti tra i generi. 

Inoltre, mi lascio ispirare da molto tempo da testi che trattano della critica allo sviluppo, che mettono in discussione questa crescita a ogni costo. Penso ai testi sulla decrescita di Serge Latouche. La connessione tra arte e creazione di una comunità spontanea può far toccare con mano che ci sono altri mondi possibili, dove la logica economica è messa quanto meno in discussione.

Si parla di depressione, crisi, bene... andiamo a vedere cosa c'è oltre. La prima esperienza l'avevamo chiamata "Un Altro Mondo Possibile: Messa in scena" in riferimento a ciò che posso visualizzare, a ciò che posso provare a mettere in scena. Ora il progetto è “Altri mondi possibili in praxis” perchè c'è la fase della pratica e della riflessione e dell'alternanza tra queste..  

Uri: Vedi, c'è questa espressione di Antonio Machado: "Noi creiamo la strada camminando". È così. Se metto insieme danza e teatro sto di fatto realizzando un cambiamento paradigmatico che riguarda non solo una sfera disciplinare. Si tratta di vedere l'alternativa a ciò che esiste. Non generare un'altra struttura dominante, ma una pluralità, nuove alternative. 

È un orizzonte quello cui si tende, non un posto. Si tratta di abbracciare la via. 

La pluralità  poi salva dal fanatismo e tiene viva l'idea del villaggio come spontaneo incontro e dunque moltiplicazione, collegamenti.   

 

Come spieghereste alla vostra piccola Noa appena nata la visione che c'è dietro questa residenza artistica? 

Ilaria: Un viaggio, un viaggio onirico, ma al tempo stesso reale nella notte nel sogno ma anche nel giorno della possibilità di qualcosa che se inizialmente viene considerato sogno - e un sogno anche un po' matto - poi diventa realtà. A Noa lo spiegherei forse  disegnando dei cerchi, delle spirali e facendole sentire i profumi della natura. 

Uri: Userei la torre dei tarrocchi. Siamo a caduta libera non nel futuro possibile ma nel futuro che DEVE essere. Per me è inevitabile, non possiamo che andare incontro a un futuro in cui si torna a creare, in cui ci si riconnette all'essenziale, a ciò che significa essere una umanità non come fine ma come processo. 

 

Tornare alla natura nonostante tutto ciò che le abbiamo fatto...? 

Uri: Se noi siamo il problema, noi possiamo essere anche la soluzione, ad esempio apprendendo la permacultura. Si tratta di ricercare, provare a essere la soluzione a quel che siamo per un tempo limitato, in uno spazio in cui le persone si avvicinano spontaneamente.  

E qual è l'esperienza su tutte che ha reso possibile questo intento di trasformazione? Ciò da cui è partita la scintilla, quel che vi ha visto "militare" in paradigmi già esistenti? 

Come tutti gli israeliani ho fatto 3 anni di servizio militare obbligatorio. Ero un soldato e dunque sottoposto a quelle modalità intense, distruttive direi, drammatiche. Quegli anni hanno però aperto il processo successivo verso il recupero dell'umanità attraverso l'arte, il teatro, un recupero che non è solo personale, ma si volge agli altri.  

Ilaria: Ho studiato all'università scienze internazionali diplomatiche e ho scelto come corso di laurea specifico quello orientato alla cooperazione allo sviluppo, il che la dice lunga, considerando che mi sono orientata alla critica allo sviluppo e ai temi della decrescita.

È seguita una fase di conflitto con il settore della cooperazione internazionale, un campo in cui domina un certo neocolonialismo e/o una certa dose di retorica simil cattolica di generosità farcita di un certo opportunismo economico e politico.

La mia trasformazione è stata da lavoratrice nel settore della cooperazione a formatrice/facilitatrice di processi di cambiamento. Un'altra trasformazione la vedo dal passaggio del vago sogno di bambina di essere missionaria in Africa al mio sogno lucido di una vita con l'orizzonte della decrescita.

Il mio retroterra è quello di una famiglia cristiana e di questa tradizione ora vedo quanto ho sempre avuto dentro una ricerca alla sobrietà che se vuoi è essenza dell'insegnamento di Francesco d'Assisi, basta unire a Francesco le riflessioni di Rahnema sulla differenza tra povertà e miseria e mettersi in gioco.


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Immagine | Ilaria&Uri&Noa