Imparare a disimparare. Il To Zion Contest spiegato da Danilo Lavorgna
Intervista a Danilo Lavorgna, uno dei ragazzi incontrati in occasione del To Zion Contest 2014, nelle Marche, a Comunanza, dove si è tenuto il primo incontro ufficiale della comunità che non è comunità, ma, diremmo, gruppo di sperimentazione nell’ambito dell'istruzione in senso esteso
La pioggia e il vento hanno accarezzato con decisione qualche tenda, bagnato qualche sacco a pelo ma niente di irrimediabile, il primo giorno del To Zion Contest 2014 è fluito liscio e così anche il secondo.
Rocco Bruno gravitava rassicurante tra i ragazzi più intensamente coinvolti nel progetto che hanno avuto cura di spiegare, mostrare, mettersi a disposizione delle persone giunte un po’ da tutta Italia per vivere da vicino questa esperienza.
Pasti insieme su lunghi bancali, discorsi dentro al grande palazzetto e disegni esplicativi, mappe del luogo e momenti di convivialità. Non si comprende bene dove si va, ma c’è la decisione per trarre insegnamenti dalla terra e imparare a farcela da soli. Al di là delle risposte pronte, prefabbricate, che non bastano più. “Fattene una ragione” è scritto sulla maglietta dei partecipanti al progetto.
I laboratori di sperimentazione diretta spaziavano dalla permacultura al progetto di una pirolitica, a forme di riscaldamento meno dispendiose e più efficienti, passando dalla biologia sensata alla costituzione, fino a piccole improvvisazioni teatrali.
Tra tutti, mi sono avvicinata a un giovane sveglio, Danilo Lavorgna, che, dopo un percorso di studi sfociato in due anni di architettura lasciati in sospeso, si è dedicato al lavoro, qualsiasi lavoro, dall’operaio al responsabile di settore, fino a raggiungere una propria autonomia economica. Quando si trovava a Milano per lavorare nel settore pubblicitario è entrato in contatto con il gruppo avviato da Rocco Bruno che in quel momento si muoveva nella zona di San Donato Milanese.
Mi spiega: "Così ho conosciuto Rocco ed entrando nel gruppo ne ho condiviso la visione, sono stato integrato e a mia volta ora integro nuove persone che arrivano e provo a portare su un piano di comprensione quella che è un’intuizione condivisa, qualcosa che ci è arrivato e che raduniamo in ogni momento in azione pratica, funzionale."
Riguardo Zion, si potrebbe parlare di una comunità?
L’idea non è di fare la comunità; noi ci siamo incontrati, non abbiamo seguito un percorso propagandistico e ci siamo incanalati, direi che ci siamo ri-conosciuti. Ci si mette in discussione, senza aspettative. Il bambino, per dire, non ha aspettative, si sorprende sperimentando.
Ma allora cos’è Zion?
Zion non esiste! E’ un nome per vestirsi, un nome ci vuole in funzione del sistema burocratico, se vuoi entrare all’interno di questa dimensione hai bisogno di un nome, che tu lo voglia o no. Un gruppo ha bisogno di un nome per esser riconosciuto, fermo restando che noi siamo singoli elementi che sperimentano autonomia.
Pensa alla dipendenza nel senso dell’appoggio e del sostegno dei genitori, ora pensa al genitore come un supermercato. Ecco, la domanda è: posso farne a meno e camminare con le mie gambe? Ho la possibilità di praticare quella forza che mi permette di muovermi in autonomia?
Qual è l’obiettivo di Zion?
Non c’è un obiettivo, c’è una domanda: quella che ti ho appena detto.
Rocco Bruno ha una personalità molto forte. Cos’è per te? Una guida, un padre spirituale?
Rocco è il collante. Un collante portatore di un segnale che io cercavo e che ormai è diventato una domanda unica. Non c’è padre spirituale. Non so bene a cosa si riferisca la parola padre, è una forza? Rimaniamo sulla domanda.
A volte quando parlo o comunico mi ritrovo davanti gente che vorrebbe delle risposte, ma questo non fa di me un padre, sono poco propenso a dare delle risposte, preferisco creare domande utili a spostare l'attenzione su un piano più vero, una ricerca individuale.
E da dove vengono le risposte?
Le risposte sono frutto di una fase sperimentale, per questo non possono essere semplicemente date ma vanno vissute, la domanda è quel che mi tiene vivo, avere già tutte le risposte senza averne sperimentato i processi potrebbe essere paragonabile ad esser morti.
Il gruppo sta crescendo, come vi “riconoscete”, come vi “ritrovate”?
Non so cosa sia tutto ciò, ma riscontro lo stesso intento in parecchie persone, è come se mi ci ritrovassi a varie misure, a volte imparando ad osservare ed interagire con la natura, ad analizzare il senso biologico del corpo, a volte nel cosa ci sto a fare io qua, perché sono nato… la risposta del ruolo biologico (cibo-territorio-riproduzione) che ci passano da secoli è ridondante e non è quella che cerco.
Di sicuro so che non sono nato per fare carriera, specializzarmi in qualcosa, a volte sorrido per i titoli che abbiamo dovuto dare. Sono sempre più certo del fatto che non sia il contenitore che conta ma quel che c’è dentro.
Cosa hai imparato da quando la tua energia è in Zion?
La cosa più bella che ho imparato da quando sono qui è imparare per imparare. Ad esempio disimparare, togliersi di dosso la roba “appioppata” trasferitaci e che successivamente abbiamo accettato come ovvia, "si è sempre fatto così" è la costante verbale che tende ad annullare la fase di sperimentazione e che allontana dal trovare ciò che ci è più utile in quel momento di ricerca.
C’è un po’ di rabbia verso il cosiddetto sistema o mi sbaglio?
C’è un po’ di rabbia, dici. Se per rabbia intendiamo quella situazione emozionale che ci spinge ad andare contro qualcosa no, non credo ci sia.
C’è di sicuro un fermo intento, c’è la volontà di fare qualsiasi cosa che mi permetta di sperimentare delle risposte e non semplicemente di assorbirle, l'Ateneo che si propone potrebbe essere un valido strumento in questo senso. Sento di voler andare verso una ridefinizione del lavoro, non più come necessario alla produzione, ma funzionale ai reali bisogni dell'individuo.
Mi piace pensare che si possa vivere smettendo di puntare ad accumulare, perché quando non hai più punti da agglomerare puoi solo riscoprire.
Nel video di seguito, il promo dell'evento
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