The Urban yoga: progetto architettonico, yogico e filosofico
Yoga e giungla metropolitana si intrecciano, lo spazio si carica di energia positiva e la città diviene "umana": alla scoperta dell'urban yoga e del photo book dell'’architetto Anja Humljan
A osservare la realtà, sono capaci tutti; saperla penetrare è dono di pochi, riuscire a intravedere le potenzialità insite nello spazio è davvero visionario.
A nostro parere è riuscita in questa difficile impresa l’architetto Anja Humljan con il suo photo book “Urban yoga” simbolo di un progetto di ampio respiro e quasi filosofico: ripensare l’ambiente urbano come qualcosa di armonico, accogliente, equilibrante e… yogico.
L’opera consiste in una raccolta di scatti tra Parigi, Madrid e New York dove Anja è ritratta volteggiante come una fata all’interno del paesaggio metropolitano mentre esegue degli asana: perfettamente inserita nel contesto, dimostra come anche la città possa essere un luogo di grazia e di leggerezza.
Di seguito è la nostra chiacchierata con Anja Humljan, architetto, maestra di yoga e danzatrice.
Anja, in merito a questo progetto: perché hai deciso di svilupparlo? In che modo ritieni possa dare un contributo tanto all’architettura quanto allo yoga?
Il ruolo di un architetto non è solo quello di mettere in piedi palazzi, ma anche quello di costruire un ponte tra la sua categoria e chi poi fruirà gli edifici quotidianamente.
Partendo da questo presupposto, ho messo da parte tanto lo yoga che l’ufficio per provare a cambiare il modo di percepire, respirare e concepire lo spazio e l’ambiente urbano.
“Urban yoga” non è meramente yoga, ma un esperimento architettonico, un movimento che vuole influenzare il modo col quale facciamo esperienza della quotidianità nelle città quando ci focalizziamo sui sensi e sul corpo.
Esplora la magia dello spazio al centro dell’esperienza umana; invita ognuno a osservare la realtà intorno in modo più significativo, riconsiderando come il corpo abita lo spazio urbano e respirando una nuova tipologia di vita orientata sull’essere umano pur all’interno del mondo efficiente e tecnologico dell’architettura e del design.
L’Urban yoga sprona a costituire una nuova scuola di design architettonico che si concentri sull’esperienza sensoriale. Invita le persone a odorare, toccare, assaporare, osservare e ascoltare per elaborare un nuovo modo di percepire come la città “sente”.
È una sfida per gli architetti che sono incoraggiati a progettare degli spazi non solo visualmente e tecnologicamente impattanti, ma anche in accordo con la sensibilità umana.
Ho trovato la tua idea innovativa e pertinente, specie perché oggi lo yoga è una disciplina moderna e urbana. Nell’elaborazione del tuo progetto, secondo quali criteri hai collegato il paesaggio con gli asana? Ti sei lasciata guidare dall’ispirazione o hai seguito delle precise direttive?
Gli asana dello yoga hanno avuto una loro parte nell’ispirarmi, più o meno consciamente. Come nello yoga, laddove il corpo diviene il tuo spazio privilegiato, ogni spazio urbano concepito tenendo a mente la sensibilità umana può diventare fonte di energia positiva e luogo di autoriflessione e autorealizzazione.
Non mi riferisco quindi a spazi che viviamo passivamente, come formiche che camminano da un punto all’altro o a spazi dove ci riposiamo dopo una lunga giornata, ma a luoghi che accendono la nostra immaginazione, evocano ricordi, raccontano storie e cullano sogni: luoghi, insomma, che ci riportano al mondo e ci connettono al nostro sé.
La scelta del setting è dipesa dalla città, dal periodo dell’anno e dal fotografo. Le idee dei fotografi mi hanno stimolata molto e abbiamo cercato di metterle in atto.
A volte abbiamo scelto i luoghi e scattato molte foto così come venivano, altre invece abbiamo impiegato tanto tempo a scegliere l’ambientazione e sistemare la luce e magari finivamo la giornata con un solo scatto.
Il mio scopo era quello di connettermi, intrecciarmi con lo spazio circostante in un rapporto mimetico. A volte è accaduto che, nonostante la cura, durante il lavoro di post produzione ci siamo resi conto che alcuni setting non funzionavano e abbiamo scartato quelle foto e ricominciato, alla scoperta di nuovi luoghi.
Perché per veicolare la tua filosofia e le tue idee (visione positiva della vita urbana, armonia degli spazi cittadini, convivenza tra umanità e tecnologia) hai scelto proprio lo yoga e non ad esempio la danza, dato che sei anche danzatrice?
Più che io scegliere lo yoga, è lo yoga che si è imposto protagonista del progetto. Ad un certo punto, dopo aver insegnato yoga per otto anni, ho capito che potevo fare molto di più che praticarlo e insegnarlo.
Ho intuito che c’era una connessione tra i miei due lavori, essere un architetto e essere una maestra di yoga. Così, durante un mio soggiorno a New York ho fatto i primi tentativi, ovvero una prima serie di foto“Urban yoga” e via via scatto dopo scatto le connessioni tra il campo dell’architettura e quello dello yoga divenivano sempre più evidenti.
Nel mio laboratorio di architettura sperimentale che ho chiamato Space Potential, stavo esplorando il rapporto tra il corpo sensibile e lo spazio e proprio questo è divenuto la piattaforma teorica dell’Urban yoga, il collegamento magico. E da lì è nato il tutto.
La danza è più dinamica dello yoga e non mi sorprenderei se lo sviluppo del progetto non arrivasse dallo yoga alla danza. In che modo? Mi concedo di sorprendermi. Amo le sorprese perché portano in dimensioni più grandi, che da soli non avremmo mai immaginato.
Hai detto che il tuo sogno è un’architettura legata alla dimensione umana, ai sogni di chi poi frequenterà quegli edifici. Troviamo questo spunto molto yogico dunque ce lo potresti spiegare meglio, magari con qualche esempio concreto?
I progetti dello studio giapponese Nakamura & Nap come Dancing trees o Singing birds nei quali la distanza tra spazio interno e spazio naturale viene rimossa e l’esperienza umana del paesaggio supera i limiti attuali.
Ancora, il progetto Therm Vals dell’architetto svizzero Peter Zumthor all’interno del quale si può sperimentare una dimensione temporale ipnotica grazie a un’architettura di luci e ombre, forte e fragile, trasparente e concreta tra cielo e terra. L’architetto sloveno Murusa Zorec e l’australiano Glen Murcutt abbracciano tutti gli ideali descritti sopra.
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Per approfondire:
> Urban yoga: origini, pratiche, benefici
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