Olio di palma, facciamo chiarezza
Non è facile fare chiarezza su un argomento tanto dibattuto come l'olio di palma: in ballo ci sono multinazionali, salute, grassi, conservazione dei cibi, deforestazione e non solo! Buono o cattivo? Forse il giusto sta nel... poco!
Non è sempre facile capire se un alimento fa bene o fa male, se le fonti da cui si ricevono le informazioni sono attendibili o meno e soprattutto se queste sono "pilotate" o reali.
Cerchiamo di capire con un po' di obiettività quale è stato il percorso dell'olio di palma; perché si è infilato negli alimenti senza destare scalpore e poi si è trasformato nel temuto spauracchio dell'industria alimentare moderna; e infine è tornato recentemente alla ribalta, grazie anche a una campagna pubblicitaria che ne vanta i pregi, lanciata dall'Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, come olio buono.
Scopriremo che il dibattito è sempre acceso, le posizioni discordanti e che la scelta consapevole è ciò che davvero fa la differenza.
Olio di palma, l'origine del dibattito
Tutto nasce nell’ottobre del 2011, quando il Parlamento e il Consiglio europeo hanno adottato il regolamento n. 1169/2011 relativo alle informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sulle etichette dei prodotti alimentari. Ora, tale regolamento è entrato in vigore il 12 dicembre 2014, anche se le disposizioni relative alla dichiarazione nutrizionale sono applicabili a partire dal 13 dicembre 2016.
Molte aziende hanno così deciso di rendere già trasparenti le etichette, indicando il tipo di grasso vegetale utilizzato, da lì la dicitura "olio di palma" ha fatto comparsa in moltissimi prodotti.
Ma cos'è l'olio di palma?
L'olio di palma è un grasso saturo utilizzato per i prodotti alimentari confezionati e non solo, risultando essere il più idoneo alla conservazione, resistente a fattori ambientali, quali temperature e luce.
Ma i grassi saturi fanno bene o fanno male? Dipende. Di grassi saturi ce ne sono di due tipi: a catena media e a catena lunga. I grassi saturi a catena media non influenzano i valori di colesterolo, ma quelli a catena lunga sì.
Occorre quindi conoscere la percentuale dei grassi saturi a catena lunga presenti, e anche qui dipende dal tipo di olio di palma utilizzato, visto che esiste l'olio di palma grezzo, dal colore rossiccio, derivato dai frutti e ricco di grassi saturi e di antiossidanti; l'olio di palmisto, derivato dai semi, bianco come il burro; e infine l'olio di palma raffinato, il più utilizzato a livello industriale, fluido come un normale olio di semi, che durante la raffinazione perde l'importante componente antiossidante che contiene.
Quest'ultimo olio contiene molti grassi saturi, il 47%, costituiti dall'acido palmitico, uno degli acidi grassi saturi a lunga catena, quindi nocivi per il sistema cardiocircolatorio se consumati in eccesso, che oltre a portare ad obesità e diabete risulterebbero dannosi per il pancreas.
Così è riportato da Assic, Associazione per la sicurezza nutrizionale in cucina, "Secondo l’OMS (WHO), esistono prove convincenti del fatto che il consumo di acido palmitico in alte dosi incrementi il rischio di contrarre malattie cardiovascolari. (WHO Technical Report Series 916 ,“Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases” 2003) (...) In controtendenza, uno studio italiano del 2014 pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition mostra che l’acido palmitico, per la sua disposizione spaziale all’interno dei trigliceridi, sembrerebbe non essere assorbito in maniera completa dall’organismo umano".
Inoltre sarebbero presenti nell'olio di palma degli acidi grassi "protettivi", monoinsaturi e polinsaturi, circa il 51%. Detto ciò, si può pensare che l'olio di palma grezzo risuti forse meno nocivo rispetto a quello raffinato o all'olio di palmisto.
Ma come si fa a sapere quale tipo di olio di palma viene utilizzato nei vari prodotti? Questo non è precisato in etichetta.
Gli acidi grassi essenziali: dove si trovano?
Ridurre, non demonizzare l'olio di palma
Tuttavia l'olio di palma non è totalmente da demonizzare, infatti ha qualche vantaggio: non è idrogenato, e, rispetto ad altri oli o grassi, è più digeribile e stabile; sarebbero infatti peggiori i grassi trans-saturi della margarina, per esempio.
Grazie a vari studi e ricerche, si è visto poi che i grassi saturi non sono totalmente nocivi, purché assunti in dosi equilibrate, ovvero circa il 10% delle calorie giornaliere (linee guida Cra-Nut, ex INRAN 2012). Ciò si tradurrebbe all'atto pratico al consumo di tre biscotti confezionati a colazione, evitando di proseguire la giornata con grissini, merendine o altri prodotti che lo contengono.
Come precisa Assic "Recenti ricerche hanno evidenziato che ogni acido grasso saturo ha una propria importante funzione biologica da svolgere nel nostro corpo: ad esempio l’acido butirrico regola l’espressione di diversi geni e può giocare un ruolo importante nella prevenzione del cancro bloccando lo sviluppo delle cellule tumorali, l’acido palmitico è coinvolto nella regolazione degli ormoni e, insieme al miristico, nella comunicazione tra cellule e nelle funzioni del sistema immunitario. (Rioux V. and Legrand P. (2007) Saturated fatty acids: simple molecular structures with complex cellular functions. Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care 10:752-58)."
Grande scalpore si è scatenato quando si è letto l'olio di palma tra gli ingredienti del latte artificiale per i neonati. Come ha messo bene in luce Il Fatto Alimentare quasi tutti i latti artificiali italiani lo contengono: bisognerebbe andare in Svizzera o in Francia per trovarne senza per i primi mesi di vita.
La giustificazione? L'olio di palma rappresenterebbe secondo molte case produttrici di latte artificiale, una buona fonte di acido palmitico, acido grasso maggiormente presente nel latte materno, e per la sua alta percentuale di acido oleico e linoleico; e alcune di loro hanno precisato che sceglieranno di comprare solo olio che proviene da realtà sostenibili, infatti il danno ambientale rappresenta un altro fattore che fa storcere il naso sul suo uso e consumo.
L'olio di palma e l'ambiente
Sono diverse le reltà di informazione che hanno cercato di tastare il terreno, andando ancora più a fondo riguardo l'olio di palma, organizzando petizioni, raccogliendo firme e ponendosi domande importanti che riguardano anche il Pianeta: perché le multinazionali hanno tenuto nascosto l'olio di palma per molti anni? Quanto danno arreca all'ambiente e alle popolazioni la sua coltivazione? Con quali grassi si può sostituire nell'industria alimentare?
Asia (sud est asiatico e isola di Sumatra, dove il problema è molto sentito) e Africa occidentale, un territorio che sta cambiando: deforestazione, stravolgimento dell'assetto idrogeologico, devastazione degli habitat naturali. Dato di fatto tristemente noto. Basti guardare il film documentario Green, the film di Patrick Rouxel.
Ma forse non tutto è perduto. Vi sono case produttrici che hanno deciso di acquistare l'olio di palma da fonti sostenibili e supermercati, come fa presente Altroconsumo, che hanno già dichiarato che questo grasso tropicale sparirà dai loro prodotti. "Coop, Esselunga, Carrefour, Iper, Despar, Primia con i marchi Basko, Poli, Tigros e Iperal, Crai, Ikea, Ld Market, Picard, MD discount e U2 hanno aderito alla petizione (disponibile su change.org) promossa da Il fatto alimentare che chiede l'abolizione dell'olio di palma".
Ed è del luglio scorso la notizia riguardante il poco olio di palma che verrebbe usato nei dolci italiani, come riporta Adnkronos, che intervista Mario Piccialuti, direttore di Aidepi, Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, secondo cui l'olio di palma rientrerebbe solo in minima percentuale nei prodotti dolciari italiani, mentre sarebbe importato soprattutto per altri usi.
Infine, come riferisce Le Scienze, basterebbe alzare i prezzi dei prodotti che contengono l'olio di palma per dare il via a un mercato più sostenibile ed equo per le popolazioni del sud del mondo. Tutto quindi resta in divenire e ancora molto ci sarebbe da dire, soprattutto da sondare sull'olio di palma.
Qual è il futuro della sicurezza alimentare?