The China Study, da leggere (con cura e criterio)
Quanto è sottile il confine tra la serietà di uno studio e l'entusiasmo di una promessa per assicurarsi le vendite? Quanto di ciò che ci viene annunciato come incredibile scoperta appartiene invece già alle abitudini consolidate di "noi europei". Proviamo a capire cosa c'è dentro e dietro al best seller mondiale di T. Colin Campbell e Thomas M. Campbell II
Al primo mese in America capita di fare il pieno di exciting, astonishing, amazing e così via. Non che accada a tutti e per forza, ma questa è l'esperienza di molti. Un amico, nato in America ma irlandese per metà, un giorno provò a spiegarmi come mai la frequenza di esclamazioni sbalordite ed entusiaste fosse così alta, lui rispose: "Siamo cuccioli rispetto a civiltà molto più antiche. Tutto ci sorprende." Una risposta saggia.
Se in cima a una prefazione si trova Ippocrate, non per forza c'è da dare, scusate il gioco di parole assonante, autorità automatica all'autore. Forse la reazione di molti europei di fronte a varie questioni, alimentari e non, è orientata sul versante dello scetticismo a tutti i costi e anche questa assenza di equilibrio non va bene, perché infierisce sulla carica, l'entusiasmo, chiude possibilità invece di aprirne.
Proprio con una citazione da Ippocrate inizia "The China Study", best seller mondiale scritto a due mani da T. Colin Campbell e dal figlio Thomas M. Campbell II.
Gli autori di The China Study
Qualche informazione sugli autori: T. Colin Campbell insegna Nutrizione biochimica alla Cornell University e, insieme al figlio, Thomas M. Campbell II, ha, così come è scritto sulla sovraccoperta di The China Study, contribuito alla "stesura di questa straordinaria opera".
Siamo andati in cerca di qualche cenno biografico su Thomas M. Campbell II: il giovane rampante si è laureato presso l'università dove insegna il babbo e "il suo coinvolgimento nella co-creazione di The China Study lo ha portato a intraprendere nuovi studi presso l'Università di Buffalo e a voler esercitare la medicina in base alla filosofia presentata in The China Study." Vago, ma ci accontentiamo per entrare finalmente nel vivo degli argomenti trattati in questo libro che si sta configurando come una vera e propria teoria annunciata come innovativa dotata di apposito sito.
Le nostre riflessioni sul libro
Se vi accingete a leggere The China Study dovete tenere presente che il lettore medio di riferimento è l'americano obeso o terrorizzato dall'idea di avere un cancro e non possedere un'assicurazione che copra le spese mediche. Una volta capito questo, farete a meno di irritarvi per il ritmo triadico, quasi hegeliano, su cui poggia tutto il testo:
A) In prima istanza gli autori assumono in tono di chi si scandalizza per l'andamento dei fatti in tema di nutrizione (il culto dell'hot dog, le pubblicità di vari prodotti "velenosi" come Twinkies, M&M's, Frosties che compaiono sulle riviste dei bambini dai 6 anni in su e altri esempi del genere)
B) Il secondo movimento è una dichiarazione di intenti. Gli autori si propongono di smascherare coloro che vogliono boicottarvi la salute ("[...] Vi vogliono docili, accondiscendenti, ignoranti" [...], p. 11, nella prefazione di John Robbins, altro autore americano che tratta di alimentazione; o, parole dell'autore, ("[...] Gli americani devono sapere la verità: devono sapere ciò che abbiamo scoperto con la nostra ricerca. La gente deve sapere perché ci ammaliamo in modo del tutto ingiustificato, perché troppi di noi muoiono prematuramente malgrado i miliardi spesi nella ricerca.");
C) Dulcis in fundo, appare la promessa di un'alternativa valida, quella offerta dal testo stesso, ovviamente.
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Si descrive quindi una dimensione ben specifica che viene estesa implicitamente a tutto il globo, forse non a torto, considerando la facilità con cui certi stili alimentari basati sui cosiddetti regimi alimentari di "calorie vuote" si diffondono anche oltreoceano. Scavallato il presupposto, andiamo nel vivo.
Il libro fornisce statistiche significative, analizza i disturbi della nostra era e traccia un'atlante mondiale degli stessi, con particolare attenzione al paragone con la mortalità per malattia in 170 villaggi della Cina continentale e di Taiwan. Si parte dalla neutralizzazione del mito della proteina, quello stesso mito che è giunto a noi proprio dall'America attraverso la famosa dieta Atkins.
La dieta demonizzava il consumo dei carboidrati in favore dell'incremento dell'apporto proteico giornaliero. Con risultati devastanti sul lungo periodo, a fronte di un ovvio dimagrimento sul breve; i soggetti presi a campione durante le 24 settimane di dieta riportavano stitichezza, alito pesante, perdita di capelli; in pratica, tutte conseguenze di un accumulo eccessivo di tossine). Campbell smaschera questa dieta che in Europa è già stata fatta a pezzi da anni ormai.
Per quali ragioni? Le ripercorriamo.
Bruciando prioritariamente grassi il nostro corpo è costretto a produrre corpi chetonici, vista l'impossibilità del cervello di utilizzare grassi a scopo energetico. Queste sostanze abbassano il pH ematico (il sangue diventa più acido) e scatenano sintomi come nausea, cefalea, affaticamento e, in casi estremi, coma. C'è poi da precisare che la riduzione dei carboidrati implica anche l'eliminazione di importanti quantità di fibra in essa presenti e che la dieta non regola in modo preciso la quantità di grassi assumibili. In generale, si tratta di una dieta che arreca molto stress all'organismo e crea disturbi ulteriori che possono diventare anche cronici. A fronte di un elevato apporto di grassi animali, con la dieta Atkins si va incontro a carenza di fibre, vitamine e sali minerali; se seguita per lungo tempo causa perdita di potassio e sodio e può causare stitichezza. Alle carenze si può ovviare attraverso integrazioni esterne, ma il controllo del medico deve essere costante. Verrebbe da dire a Campbell: grazie tante, ce ne eravamo già accorti, nulla di nuovo sul fronte occidentale.
Ricordiamo che ai tempi dei suoi studi universitari, l'autore stesso scrisse una tesi di dottorato incentrata sul cosiddetto gap proteico, ovvero quel fattore per cui, negli anni Settanta, si tendeva a pensare che la fame nel mondo e la malnutrizione infantile dipendesse direttamente dalla quantità insufficiente di proteine. In sintesi, la fame veniva associata a una carenza proteica e le proteine erano le regine indiscusse di qualsiasi discorso sull'alimentazione, venivano venerate, adulate. Di questo non gliene facciamo una colpa: si sa, si cambia.
Poi, come ci spiega bene un pensiero scovato in rete in un sito (FrancescoWord) che offre un lavoro interessante su diversi livelli di disinformazione: "Gli americani sono confusi, e vi dirò il perché. La risposta, illustrata nella IV parte, ha a che fare con le modalità di generazione e comunicazione delle informazioni sulla salute e con chi controlla tali attività. Essendo stato così a lungo dietro le quinte a produrre le informazioni sulla salute, ho visto che cosa accade in realtà e sono pronto a raccontare al mondo che cosa non va in questo sistema. Le linee di demarcazione fra governo, industria, scienza e medicina sono diventate indistinte, come pure quelle fra il perseguimento del profitto e la promozione della salute. I problemi connessi al sistema non si presentano sotto le forme di corruzione che siamo abituati a vedere nei film hollywoodiani. I problemi sono molto più sottili, e tuttavia molto più pericolosi. Ne risulta un’enorme disinformazione, per cui i consumatori medi americani pagano due volte: da un lato versano le tasse per la ricerca e dall’altro forniscono il denaro affinché l’assistenza sanitaria curi malattie che potrebbero essere ampiamente evitate".
Quel che ci dice questo libro però ce lo han già detto Pitagora, Socrate, Plutarco, Leonardo Da Vinci, J.J. Rousseau, Benjiamin Franklin, Lev Tolstoi, Albert Schweitzer, il Mahatma Gandhi, Albert Einstein, C.W. Leadbeater; la lista prosegue e arriva ad affermazioni vegetariane collegate anche a dati, come nel caso del sapiente studio condotto di recente dal nutrizionista Hervé Grosgogeat, uno studio che consigliamo, che ci piace perché non allarma, crea alternative, informa in modo chiaro, fornisce strumenti per l'auto diagnosi. L'accusa ai carboidrati raffinati, la lode a una dieta naturale e vegetale, tutti elementi che chi si interessa di nutrizione avrà già avuto modo di approfondire e adottare.
Campbell prende in esame, in modo, va detto, un po' allarmante ("Siamo malati, sovrappeso e confusi", p. 111), le più diffuse malattie del benessere e patologie ossee, renali, oculari e cerebrali, disturbi come il diabete, l'obesità, le malattie cardiache e autoimmuni, e adduce poi dati che dimostrano come il cibo sia in diretta relazione con ognuna di queste patologie. Il Capitolo 12 "Come mangiare" ci fa tirare un sospiro di sollievo e fornisce informazioni valide, concrete, esempi concreti.
D'altra parte, l'autore riesce nel suo intento, dichiarato già dalle prime pagine: presentare in forma accessibile dati scientifici raccolti in uno studio di notevole portata diretto da Campbell stesso, avviato nel 1983 e ancora all'attivo. Su due cose ci va di riflettere: questo programma di ricerca di laboratorio ha finora previsto esperimenti sugli animali come prassi consolidata; poi, tra commissioni congressuali, istituzioni mediche, agenzie federali e statali, il progetto è stato appoggiato e finanziato a dovere per un totale di 74 anni di sovvenzioni, anche prima che Campbell ne prendesse le redini.
Questo ci riporta ai diritti degli animali, in prima istanza e, in secondo luogo, alla fuga di cervelli che tocca da vicino il nostro paese.
Riflettiamo, accogliamo con criterio, confrontiamoci.
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Per approfondire:
> La dieta vegana
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