Trovate microplastiche nella placenta umana
Le microplastiche sono nel cibo che mangiamo, nell'acqua che beviamo, addirittura nella placenta umana. L'ha scoperto un team di ricerca italiano.
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Microplastiche, un’emergenza ambientale
Sappiamo che le microplastiche sono una delle emergenze ambientali dei nostri tempi. Queste minuscole particelle di plastica arrivano dalla degradazione di oggetti di plastica più grandi, o ancora dal lavaggio dei capi sintetici e dall’abrasione dei pneumatici. Oppure da tutti quei prodotti in cui sono state aggiunte ad hoc, come scrub e dentifrici.
Per via del loro diametro compreso fra i 330 micrometri e i 5 millimetri, sfuggono ai comuni sistemi di filtraggio e finiscono nei mari. L’Onu stima che le acque ne contengano 51mila miliardi, come il numero di stelle della nostra galassia moltiplicato per 500.
Inghiottite dai pesci, inevitabilmente le microplastiche finiscono nella nostra catena alimentare. Sono state trovate nella birra, nel miele, nello zucchero, nell’acqua di rubinetto, nel sale da cucina, nelle feci umane.
I nostri figli iniziano a inghiottirle già insieme al latte, avverte un recente articolo pubblicato dalla rivista scientifica Nature Food. Questo perché vengono liberate dalle alte temperature necessarie per sterilizzare il biberon e preparare il latte in polvere.
Non c’è stato nemmeno il tempo di metabolizzare lo scalpore suscitato da questa scoperta e già ne è arrivata un’altra, stavolta a firma italiana: le microplastiche sono presenti anche nella placenta umana.
Anche la placenta contiene microplastiche
Il team di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale Fatebenefratelli-Isola Tiberina di Roma, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, ha esaminato la placenta di sei volontarie. Tutte avevano partorito naturalmente al termine di una gravidanza fisiologica.
Attraverso un esame chiamato microspettroscopia Raman, i ricercatori hanno identificato 12 frammenti di microplastica in quattro organi. In tre casi si trattava di polipropilene, il materiale usato per produrre bottiglie e tappi. Gli altri nove frammenti erano microplastiche rivestite da pigmenti usati per vernici, adesivi, cerotti, smalto per unghie, cosmetici e così via.
I risultati dello studio sono stati pubblicati nella rivista scientifica Environment International.
Ancora ignote le conseguenze per il feto
Alla luce di queste evidenze, sorgono spontanee alcune domande. Se le microplastiche sono presenti nella placenta, ciò significa che vengono trasmesse anche al feto? In caso affermativo, esistono rischi per la salute?
La scienza non possiede ancora risposte certe per tali quesiti, precisa il dottor Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore dell’unità operativa complessa di Ostetricia e ginecologia presso l’ospedale Fatebenefratelli – Isola Tiberina di Roma.
La presenza di microplastiche nel feto – spiega – è plausibile, ma dovrebbe essere provata da studi ad hoc. Così come le conseguenze per la salute. “Sappiamo già da altri studi internazionali che la plastica può ad esempio alterare il metabolismo dei grassi”, dichiara.
“Inoltre, la placenta e le menbrane amniotiche sono l’ambiente che garantisce la formazione del sé e l’identificazione di ciò che è diverso da sé”, conclude. “Laddove il feto nel suo sviluppo va ad identificare il materiale sintetico come parte di sé, la presenza di plastiche in ambiente prenatale di fatto potrebbe alterare l’equilibrio nelle risposte che il sistema immunitario del bambino adotta nei confronti dell’ambiente esterno, modificando i delicati fenomeni epigenetici”.