Bisogni educativi speciali: di cosa parliamo?
Cosa sono i BES (Bisogni Educativi Speciali)? Ce ne parla con intensità ed entusiasmo Assia Federico, che da anni lavora con diversamente abili e con alunni che per lei ricadono in una categoria preziosa, quella delle anime speciali. Perché le menti degli studenti - ci spiega - sono mondi unici
Assia Federico è una donna pimpante, una bionda altissima piena di vita. Gli occhi le brillano sempre, ma quando parla del suo lavoro scatta qualcosa di davvero speciale, fiero e amorevole insieme.
Lei da anni lavora sia con alunni Diversamente Abili e sia con la “presa in carico” di altri con difficoltà d’apprendimento che ricadono sotto la cosiddetta categoria dei BES (Bisogni Educativi Speciali), per brevità chiamati da lei alunni speciali.
Infatti, sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua.
Per “disturbi evolutivi” s’intendono, oltre i disturbi specifici dell’apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività, compreso il funzionamento intellettivo limite.
Da insegnante di educazione fisica, Assia si specializza attraverso un corso polivalente della durata di 2 anni con docenti universitari di Latina e di Bergamo. Entra di ruolo in seguito a un concorso per la materia dell’educazione fisica con possibilità di altra formazione in vari ambiti di specializzazione.
Dopo il primo anno di prova si innamora di quest’attività di sostegno e diventa effettivamente di ruolo nel ’92. Quando ti parla della sua vocazione ad aiutare gli altri, senti tutta la naturalezza, la vivacità, l’entusiasmo vivo sempre: “Da sempre sono stata portata a difendere i deboli. Io stessa sono stata vittima di bullismo, delle tante forme di mancanza di rispetto che possono essere inflitte gratuitamente.”
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Insegni a una categoria definita “con difficoltà”. Ma che vuol dire veramente insegnare?
Tutti i contenuti scolastici vanno visti come mezzi di maturazione delle personalità all’interno di un chiaro e preciso progetto pedagogico. Tutto ciò che interviene nell’atto didattico occorre sia adeguato non tanto o non solo al contenuto, ma ai processi interiori necessari per far propri i contenuti.
Il mezzo con cui intervenire nei processi interiori è l’amore. Se si passa qualcosa attraverso il veicolo dell’amore non c’è insegnamento che non giunga dove deve e nel tempo necessario. Dare con amore innesca un cambiamento potente nell’altro, lo riempie di autostima e lo fa sentire più capace.
Un esempio pratico?
Una mia alunna diversamente abile di nome immaginario Marica, all’inizio del nostro lavoro scolastico possedeva un quoziente intellettivo di 57, per passare nei seguenti 3 anni a quota 65. La stessa psicologa che la seguiva si è complimentata con me per tale progresso.
È subentrata mai paura nel tuo lavoro d’insegnamento? L’hai mai avvertita?
La paura nasce quando si pensa tanto a se stessi, troppo. Se ci si pensa, è un’emozione molto egoista: la paura è egoismo.
Faccio un esempio: ho lavorato anche con un ragazzo autistico molto robusto; per estremizzare, se avesse voluto darmi uno schiaffo, mi avrebbe facilmente sbattuta a terra. Ma non ho mai avuto questo pensiero negativo; si ha paura quando si vuole sopravvivere a qualcosa che si teme.
I ragazzi con cui lavoro sentono sensorialmente che gli sto facendo del bene ed io non riesco a pensare alla possibilità che qualcuno di loro mi rimandi indietro del male. Per questo opero in un clima sereno che favorisce le interazioni personali e l’empatia.
Essere bravi insegnanti vuol dire anche aver avuto a che fare da vicino col dolore?
Non si può sviluppare la sensibilità se non sei passata attraverso la sofferenza. Non tutti quelli che soffrono sanno trarne vantaggio: dipende dal loro grado di coscienza e dal livello di paura che può suscitare il guardarsi dentro.
D’inclusione e d’integrazione scolastica e sociale se ne parla di più, perché?
Sarà perché il sistema educativo sta davvero facendo uno sforzo in tal senso a seguito dei flussi migratori sempre più socialmente incidenti. C’è più interesse per l’innovazione tecnologica e didattica, più disponibilità a offrire ricche proposte formative. Ma è anche vero che ci vorrebbe molto altro per parlare di un effettivo miglioramento globale.
Inoltre, non c’è oggi disciplina che non sia stata rivista in base ai bisogni dei BES: i libri scolastici sono anche stati semplificati in alcune parti. C’è maggiore attenzione ai problemi della sfera comportamentale e relazionale: penso anche ai disturbi come iperattività, lieve ritardo e dislessia.
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Ma c’è un effettivo margine di miglioramento per un alunno diversamente abile?
Di certo l’assistenza è costante, ma, se la situazione è presa in conto tempestivamente, è possibile stimolare l’interesse, aumentare l’attenzione e il profitto. È come accedere a un mondo così ermetico che ha bisogno di particolari chiavi per essere aperto: basta andare di volta in volta ad aprire la serratura giusta per entrare nella loro sfera più intima e scoprirla.
Se si riesce a sintonizzarsi su quei canali non solo si entra in contatto con una persona, ma s’iniziano a sviluppare predisposizioni positive verso gli altri. Ci vuole molta sensibilità e un avvicinamento onesto, in quanto questi ragazzi leggono dentro anche senza ricorrere all’approccio visivo, sentono subito il fluido positivo e la purezza di quello che si sta dando loro. Molta della percezione passa per l’udito e l’intuizione innata.
E tu hai fatto un lavoro sull’intuito?
Penso di avere un dono, che ad alcuni potrebbe anche dar fastidio: sono in grado di conoscere le singole personalità in tempo reale facendo ricorso a capacità di lettura dei dati rilevabili con una continua ricerca-azione. Un altro motivo che facilita il mio lavoro di insegnante di sostegno.
Cos’è Il PEI?
Si tratta del Programma Educativo Individualizzato che si adotta nella programmazione scolastica dei ragazzi diversamente abili. L’analisi della Diagnosi Funzionale è fatta dall’ASL, ci sono poi l’osservazione dell’insegnante di sostegno sull’alunno, la fase di coordinamento tra docenti e l’incontro iniziale con la famiglia e gli specialisti dell’ASL che danno loro indicazioni e firmano il PEI.
In pratica la programmazione è “in itinere” poiché subisce una serie di verifiche e adattamenti nel corso dell’anno per portare al successo didattico e formativo l’alunno.
Andiamo dall’altra parte, parliamo di coloro che da “normali” si relazionano a questi casi “speciali”. Che cosa noti in loro?
Gli alunni normodotati vanno educati a comprendere, ad accettare e a interagire con i ragazzi diversamente abili e con i ragazzi BES.
Pertanto ci vuole un’opportuna spiegazione in tal senso da parte degli insegnanti, anche ripetuta o individualizzata secondo i casi, altrimenti non scatta mai l’accoglimento da parte di tutti i compagni.
Le menti degli studenti sono mondi unici: pertanto ogni alunno è una risorsa da valorizzare per la classe e cui si deve garantire una propria forma di eccellenza cognitiva.
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