Intervista

La danza africana secondo Patrick Ouedraogo

Ogni giorno si può migliorare, nella danza come in tutto. Si può imparare di nuovo a lasciarsi andare, buttarsi nelle cose. Queste e altre perle ci lascia Patrick Ouedraogo, insegnante di danza africana, persona di entusiasmo e vitalità contagiosa, che sa trasmettere con passione e libertà

La danza africana secondo Patrick Ouedraogo

La sua terra di origine è il Burkina Faso. “Avevo 6 anni la prima volta che ho ballato”, mi dice, ma io sono sicura che già dentro la pancia qualche passetto in pieno fluido l’ha lanciato eccome, qualche dondolio di testa e scuotimento veloce di spalle. Sì, credo proprio di sì. 

Patrick Ouedragogo potrei descriverlo come un insegnante di danza (la sottoscritta prende le sue lezioni appena può in Umbria) che si muove per tutta l’Italia, da Firenze a Perugia e Spoleto.

“Sono nato e cresciuto nella danza. In Africa ci sono famiglie che fanno parte della tradizione Griot; si tratta di famiglie di artisti, cantastorie, coloro che attraverso l’arte tramandano la memoria del villaggio. Non provenivo da una famiglia simile ma non volevo privarmi della possibilità di diventare un danzatore, sebbene i miei volessero che approfondissi lo studio, che andassi all’università. Ovvio che c’era preoccupazione da parte dei miei parenti: non tutti diventano ballerini bravi in Europa, molti si perdono.”

Gli faccio subito una domanda che mi sta a cuore. Considerando che ho visto gente bianchissima non riuscire in alcun modo a sintonizzarsi con il ritmo e altri entrare subito nel canale del battere e levare, gli domando come reagisce quando qualche bianco getta la spugna e dice: “Ah, ma per i neri è diverso, loro ce l’hanno nel sangue.” Ecco, questo mi è sempre parso un limite. 

Patrick è d’accordo: “Certo, noi cresciamo con il ritmo, ma si può imparare, si tratta solo di tornare a qualcosa. Conosco danzatori europei bravissimi. Tutti dicono che il mondo è iniziato in Africa; si tratta solo di impegnarsi. Tutto si può fare, dipende dall’impegno.”

Ne ha fatta di strada Patrick da Ouagadougou alla Spagna, alla Francia, fino alla Germania e alla Romania. Ha iniziato a viaggiare in compagnia a 16 anni. Alla danza tradizionale africana unisce elementi di danza contemporanea. 

 

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Insegnare ovvero imparare

Gli chiedo se insegnare gli piace e quando ha iniziato. “Insegnavo già in Africa a gruppi di europei, si trattava di seminari o corsi intensivi. Amo insegnare: ogni giorno corrisponde a un’esperienza. Insegnando si diventa un ballerino migliore. In molti casi si tratta di insegnare a lasciarsi andare, togliere la vergogna. Si tratta di imparare di nuovo a buttarsi nelle cose."

Fa una pausa, guarda a terra: "Ogni giorno è possibile migliorare”. 

L’usura del corpo, un tema che si associa spesso alla danza, specie a quella classica. “Ogni danza ti può far male. Un infortunio può dipendere da tanti fattori, ad esempio, l’assenza di un adeguato riscaldamento. Io adoro la fase del riscaldamento. Anche perché c’è improvvisazione, ogni passo che arriva alla mia intuizione lo uso.”

Patrick Ouedragogo

Comunicare senza le parole

L’elemento del cerchio nella danza afro è fondamentale. Le classi di Patrick contemplano uno stretching finale che non si potrebbe eseguire se non stringendo la mano di persone che hanno sudato e riso con te per più di un’ora e mezzo nella sala, persone che hanno lasciato il ritmo nell’aria, trasferendolo dai piedi alla terra. “Si comunica senza la bocca, la bellezza della musica afro e della danza è anche questa.” Gli chiedo che vorrebbe fare in futuro, quali sono i suoi desideri. “Certo mi piacerebbe viaggiare in futuro, vedere paesi che non ho visto, ma più ancora mi piacerebbe scrivere la storia della mia vita.”

Tornare in Africa? “L’Africa la sento distante per ora. Al momento per me va bene non spostarmi tanto in fondo.” Perché? Udite udite la risposta, tutta squisitamente vincolata al ritmo. “Perché non userei mai basi registrate mentre insegno. Ho bisogno di conoscere i musicisti, devo essere sicuro della musica.”

C’è il sole mentre parliamo, la fontana dietro a noi zampilla e io mi trovo a pensare a tutte le persone del mondo della danza che ho incontrato e che avevano una superbia troppo grande, un ego drammaticamente esteso, troppo espanso per poter insegnare qualcosa con l’entusiasmo che vedo negli occhi di questo ragazzo. E sento l’utilità delle interviste, la bellezza di poter cambiare, in ogni momento. E scegliere l’immediato, il puro. Il movimento, per quello che è, semplicemente, meravigliosamente. 

 

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