Centri di accoglienza: l'appello sul Lancet
Secondo un'analisi di MEDU, la permanenza nei mega-centri di accoglienza produce effetti devastanti sulla salute mentale dei migranti. A partire dai dati emersi, la rivista The Lancet pubblica un appello: occorre una revisione urgente del modello dei centri di accoglienza in Europa.
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I centri nei quali, dopo le violenze e i soprusi spesso subiti nei Paesi d'origine o durante il viaggio, approdano i migranti hanno “effetti devastanti” sulla loro salute mentale. Lo rivela un recente studio di Medici per i Diritti Umani (MEDU) in una lettera pubblicata su The Lancet Public Health, autorevole rivista medico-scientifica internazionale.
La denuncia sottolinea come tali luoghi- decisamente poco ospitali a causa di sovraffollamento, tempi dilatati e problematiche ad essi connesse - favoriscano le più gravi forme di disturbo da stress post-traumatico.
Traumi ed elementi ri-traumatizzanti: i risultati dell'analisi
"Da gennaio 2015” afferma il messaggio, “circa 1.900.000 rifugiati e migranti sono arrivati in Europa attraversando il Mar Mediterraneo. La maggior parte di loro è sopravvissuta a torture, gravi violenze e altri eventi traumatici interpersonali nei Paesi di origine o lungo le rotte migratorie. Questa popolazione presenta pertanto una prevalenza particolarmente elevata di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e di altri problemi di salute mentale”.
Secondo i dati presentati nell'analisi- basata su un campione di 122 rifugiati e richiedenti asilo africani, recentemente sbarcati in Italia e in cerca di assistenza psicologica- emerge chiaramente come vivere in un grande centro di accoglienza, anziché risolvere tali criticità pregresse, abbia contribuito alla comparsa di un quadro clinico di disturbo da stress post-traumatico particolarmente serio.
Proprio il modello dei grandi centri di accoglienza presenta, infatti, elementi in grado di gravare ulteriormente sulla salute mentale dei migranti.
Si tratta di fattori di stress quotidiano, capaci di generare PTSD al pari degli shock subiti nei paesi di origine o lungo la rotta migratoria. In questo senso, si parla di elementi ri-traumatizzanti che, alimentando il circolo vizioso della paura e dell'insicurezza, fanno rivivere ai rifugiati le ansie già sperimentate nel corso delle esperienze traumatiche passate.
Speranze e diritti umani a rischio: le ragioni dei disturbi
Forte sovraffollamento, isolamento geografico e sociale, permanenza molto lunga in attesa dell’ottenimento del permesso di soggiorno, difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali, episodi di degrado sociale e di reiterata violenza.
Queste le principali caratteristiche dei grandi centri di accoglienza- Mineo in Sicilia e Moria in Grecia ne sono due esempi- che, contribuendo a minare le speranze e mettendo pericolosamente a rischio i diritti umani dei migranti, si trasformano nelle principali cause di gravi disturbi mentali.
“E' essenziale che i decisori politici sappiano trarre insegnamento dalle esperienze fallimentari del recente passato", recita la denuncia sul Lancet, firmata dal coordinatore generale di MEDU Alberto Barbieri. "E’ assolutamente necessario abbandonare i modelli di Mineo e di Moria e adottare, in cambio, strategie di accoglienza capaci di favorire una reale inclusione a beneficio dei rifugiati così come delle società che li accolgono".
I rischi del nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo
Al contrario, secondo i Medici per i Diritti Umani, il nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo- presentato lo scorso settembre dalla Commissione europea- minaccia di alimentare il modello dei mega-centri di accoglienza alle frontiere dell'Unione europea.
"Sebbene la prevenzione delle violenze inflitte ai rifugiati nei paesi di origine possa essere al di fuori del controllo dei paesi europei” si legge ancora nel documento, “i Paesi di accoglienza possono (e devono) svolgere un ruolo importante di fronte alle sfide post-migratorie affrontate dai rifugiati in arrivo".
Non si tratta, dunque, solo di etica. E' innegabile, infatti, che le patologie da stress post-traumatico dei rifugiati o richiedenti asilo- se aggravate o rese croniche dalle caratteristiche dei grandi centri di accoglienza- si troverebbero a pesare sul sistema socio-economico-sanitario dei paesi di destinazione.
Secondo tale ottica, la strategia che i Paesi di destinazione devono mettere in pratica va ben oltre l'obiettivo a breve termine del controllo dell'immigrazione, sconfinando in materia di salute pubblica.
Al Parlamento europeo e il Consiglio europeo, che si preparano nei prossimi mesi a esaminare il nuovo Patto, tocca dunque una grande responsabilità: rivedere il modello in modo da mettere al centro il diritto fondamentale alla salute di persone che presumibilmente entreranno, presto o tardi, a far parte della comunità dei Paesi membri.