I profughi di Lesbo e il ricatto di Erdogan
Con ventimila profughi intrappolati in condizioni inaccettabili, l’isola greca di Lesbo sta vivendo un’emergenza umanitaria senza precedenti. Cerchiamo di capire, nei limiti del possibile, come siamo arrivati a questa crisi e qual è il ruolo delle istituzioni della Turchia e dell’Unione europea.
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©Rasande Tyskar / Flickr
Alla fine il coronavirus è arrivato anche a Lesbo, scatenando il panico a Moria, il gigantesco hotspot dove i migranti – adulti e bambini – vengono rinchiusi in attesa di essere identificati.
Nel 2015 era un accampamento di fortuna, oggi è una sorta di baraccopoli dove circa ventimila persone vivono in condizioni igieniche e sanitarie inaccettabili. Qualora il contagio si dovesse allargare, le potenziali conseguenze potrebbero rivelarsi drammatiche.
Com'è nata la crisi dei migranti tra Grecia e Turchia
In questi giorni le immagini agghiaccianti in arrivo dall’isola di Lesbo sono tornate a popolare giornali e tg. Ma da dove nasce questa nuova, ennesima, crisi dei migranti?
Dal 2016, spiega Amnesty International, le frontiere fra Turchia ed Europa sono sempre state chiuse. Il Paese ospita 3,6 milioni di rifugiati siriani, un numero superiore a quello di qualsiasi altra nazione, che ha visto un’ulteriore impennata da quando il governo siriano ha iniziato a bombardare i civili nella provincia di Idlib.
Come sottolinea il Post, lo sbarramento della cosiddetta “rotta balcanica” è l’esito di un accordo economico. A marzo 2016 infatti le istituzioni europee si sono impegnate a versare 6 miliardi di euro al governo turco, a patto che gestisse i migranti in arrivo nel proprio territorio, ospitandoli in modo umano e sorvegliando la frontiera con la Grecia. Una decisione estremamente controversa, che trova appigli piuttosto labili nel diritto internazionale.
Tutto è cambiato il 27 febbraio 2020, quando l’amministrazione guidata da Erdoğan ha annunciato che non avrebbe più fatto nulla per fermare l’esodo dei rifugiati. A migliaia, dopo aver trascorso anni interi intrappolati nei confini turchi, si sono riversati verso la Grecia con la speranza di costruire un futuro migliore. Ad accoglierli, guardie di frontiera armate, gas lacrimogeni, proiettili di gomma e barriere di filo spinato.
Amnesty International non ha dubbi in merito: le autorità greche stanno reagendo con una serie di “misure disumane che violano le leggi europee e internazionali”. Lo stop alla registrazione delle richieste di asilo e la minaccia di respingere immediatamente gli irregolari senza nemmeno esaminare il loro caso, continua l’ong, costituisce anche una violazione della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.
Com'è la situazione a Lesbo in questo momento
Eccoci arrivati alle immagini delle ultime settimane. Uno dei simboli di questa nuova crisi è proprio l’isola di Lesbo, dove i migranti arrivano a bordo di piccole imbarcazioni. L’hotspot di Moria è ormai al collasso. Appena il governo greco ha dichiarato di volerne costruire un altro, si sono scatenate aspre proteste da parte della popolazione locale.
Non sono mancati gli episodi di violenza veri e propri. Nelle ultime settimane diversi gruppi di cittadini, spesso legati ai partiti di estrema destra, hanno aggredito operatori umanitari e giornalisti, dato fuoco alle auto, organizzato blocchi stradali non autorizzati, tentato di impedire gli sbarchi.
Nel frattempo, nel ghetto di Moria regna l’incertezza. Come si legge nel reportage del Manifesto, tende e baracche sono sovraffollate e i servizi igienici sono inesistenti o quasi. I profughi si organizzano spontaneamente per recuperare viveri e portarli ai nuovi arrivati che sono rinchiusi nel porto da giorni interi, con pochissimo cibo e acqua.
Eppure, quando i pochi giornalisti stranieri autorizzati si avvicinano ai reclusi di Moria, si sentono rivolgere sempre la stessa domanda: “È vero che non possiamo chiedere asilo e che ci porteranno in Turchia?”.
La posizione di Medici Senza Frontiere
Durissima la nota dell'organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere, che presidia da anni le isole di Lesbo e Samos, oltre alla capitale Atene.
“Sono passati ormai quattro anni da quando l’accordo Ue-Turchia strumentalizza vite umane per motivi politici. Ancora una volta, vediamo che gli stati membri dell’Ue vogliono impedire a tutti i costi alle persone di cercare sicurezza piuttosto che fornire assistenza di base a uomini, donne e bambini in pericolo", dichiara Stefano Argenziano, coordinatore delle operazioni.
"Con 40mila persone intrappolate nelle isole greche, la situazione ha raggiunto il limite di sopportazione per i richiedenti asilo e per le comunità locali, entrambi abbandonati dai leader europei a causa dell’accordo Ue-Turchia. Di conseguenza, crescenti tensioni hanno portato a scontri, blocchi nelle strade e attacchi contro chi cerca di dare assistenza".
“Le persone in stato di necessità sono private dell’assistenza fondamentale perché sia le équipe di MSF che altre organizzazioni hanno dovuto limitare il volume di attività per problemi di sicurezza – prosegue –. Le misure di emergenza annunciate dal governo greco avranno conseguenze devastanti in quanto tolgono il diritto di chiedere protezione e mirano a respingere le persone in Turchia. Tutto questo porterà soltanto più caos, morti in mare, escalation di violenza e un disastro umanitario ancora peggiore”.
La soluzione? “Gli Stati membri dell’Ue devono affrontare la vera emergenza: evacuare le persone dalle isole verso i paesi dell’Ue, fornire un sistema di asilo funzionante, smettere di intrappolare le persone in condizioni orribili”.