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Simbologia del dio Krishna

Fanciullo dispettoso, amante instancabile e soave, stratega spietato e datore del più alto vangelo del karma yoga. Ecco la simbologia di Krishna, il dio senza morale che ama di un amore vero e privo di regole.

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Krishna, il dio dei paradossi

Chi non conosce Krishna, il Dio nell’essere umano, non conosce interamente Dio; ma chi conosce soltanto Krishna non conosce neanche Krishna”. Così recita un aforisma di Sri Aurobindo.

 

Krishna rappresenta un dio unico nel suo genere, il paradosso dei paradossi.

 

Per i suoi devoti, Krishna è un avatar, un'incarnazione del supremo Vishnu, eppure al contempo è l’assoluto da cui tutto ha origine, incluso Vishnu stesso, creando così una sorta di nastro di Moebius concettuale che trascende la conoscenza umana e sfocia in una gnosi devozionale.

 

Gli esperti ci dicono che il Krishna della tradizione induista è la fusione di varie divinità ancestrali.

 

La prima è l'infante divino, la seconda è il divino pastorello, l’amante estatico di dionisiaca memoria, segue poi lo stratega e il consigliere nel momento della battaglia, e infine il maestro del karma yoga in forma umana, colui che ci ha regalato la Bhagavad Gita.

 

Il giovane Krishna

L’infante divino, il bambino sacro, colui che ama fare gli scherzi, è una figura archetipica, il trickster junghiano che trascende la morale umana e che – a dispetto dell’essere un semplice bambino – fa bella mostra di forza e di saggezza fuori dal comune; come Ercole che ancora in fasce uccide i serpenti o Gesù che insegnava nel tempio all’età di dodici anni.

 

Dopo questa fase amorale, Krishna cresce e diviene il bel pastorello che ammalia tutte le donne, le gopi.

 

Il nome stesso Krishna, tra le altre cose, deriva da akarshana, che significa colui che attrae a sé.

 

In questo senso rappresenta il polo attrattivo per le anime umane, simboleggiate dalle pastorelle che, benché sposate e obbligate ai doveri mondani della coniugalità, nottetempo non possono negarsi l’estasi di amare ed essere amate dal Divino, da colui che ruba le vesti e quindi spoglia le anime.

 

Egli è uno, eppure si moltiplica per giacere al fianco di ognuna e per danzare con loro nei suoi giochi di amore. Questa è la perfetta metafora del Divino secondo gli induisti: l’Uno che si moltiplica per moltiplicare all’infinito la beatitudine di amare se stesso.

 

Il Krishna adulto

Egli è colui che attrae, dicevamo. Attrae le anime, attrae l’amore, attrae la luce simboleggiata dalle vacche ma attrae anche la conoscenza.

 

Il Krishna della conoscenza è quello dell’ultima parte della sua vita, il politico, lo stratega, l’auriga e il compagno della battaglia.

 

Anche in questo caso, come nel bambino e nel giovinetto, Krishna sembra sconvolgere la morale.

 

Tutti si aspetterebbero che Dio metta pace, rifiuti la guerra a ogni costo, specie una battaglia tra consaguinei; e invece egli spinge alla guerra, e non a una guerra allegorica come credeva Gandhi, ma a una vera battaglia tra le forze dell’oscurità e quelle della luce.

 

Qui, Krishna spinge gli eroi a infrangere ogni regola ritenuta sacra pur di vincere: colpire un nemico a terra, mentire, colpire alle gambe.

 

Cosa vuole insegnarci? Che la verità è oltre gli occhi velati della moralità, che l’amore sta anche in un colpo di spade ben assestato, che il progresso può predere l’aspetto della barbarie e solo chi prende rifugio nell’Assoluto compiendo il proprio dovere può percepire con chiarezza la cosa da farsi.

 

La simbologia del dio Krishna lo raffigura col suo flauto ammaliante e la sua piuma di pavone in testa, che rappresenta l’occhio aperto del Divino ma anche la suprema devozione; infatti egli usava pulire i piedi della sua amata con la stessa piuma con cui si adornava il capo.

 

È l’apice verso cui tutta la creazione si dirige, con amore o con odio, danzando o combattendo, ingnorantemente o coscientemente: tutto va a lui e tutto da lui viene accettatto.