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L’apertura dei chakra nello yoga integrale

Una grandissima rivoluzione nel processo dell’apertura dei chakra, i centri di coscienza situati nel corpo sottile dell’essere umano, documentata da Sri Aurobindo e la Madre e sperimentata nei loro “laboratori" collettivi, ovvero i gruppi di sadhaka. Diamo un’occhiata assieme a qualche dettaglio.

L’apertura dei chakra nello yoga integrale

In tutti gli yoga e le discipline sapienziali induiste l’apertura dei chakra è un percorso classico ed invariato sebbene gli strumenti per affrontare tale percorso, le tecniche utilizzate per indurre l’apertura e le esperienza collegate a questo fenomeno possano essere diverse.

Il processo si ripete senza eccezioni: la Kundalini che risiede in stato latente nel Muladhara, il chakra della radice, viene risvegliata e lasciata scorrere verso i restanti chakra aprendoli uno ad uno dal basso verso l’alto finchè, una volta aperto l’ultimo, Sahasrara o chakra della corona, la coscienza è libera di sperimentare vari tipi di Samadhi (assorbimento nella coscienza-esistenza-gioia assolute), Nirvana (estinzione) e Moksha (liberazione), stati di coscienza dove l’ego cessa di esistere e l’individuo si perde nella trascendenzacome una bambola di sale nell’oceano”.

Tutte le tradizioni ci dicono che in seguito a questa liberazione, il corpo umano non può reggere per molto tempo a diretto contatto con l’incandescenza di questa energia solare assoluta, infatti ne consegue un distacco volontario dal corpo fisico, il cosiddetto Mahasamadhi, il grande assorbimento dal quale la coscienza non fa più ritorno nel corpo fisico.

 

La filosofia dietro all'apertura dei chakra

Questo processo giustifica tutta una filosofia (o forse ne è una manifestazione) secondo la quale l’intero universo fenomenico sarebbe una illusione dalla quale è indispensabile liberarsi, un gioco incomprensibile e senza senso alcuno in cui il divino si proietta, e che lo scopo finale è quello di liberarsene o, in alcuni casi più nobili, liberarsene dopo aver aiutato chi è ancora nell’oscurità dell’ingnoranza a liberarsene.

Prima dello yoga integrale solo gli antichi rishi vedici e le discipline tantriche hanno osato supporre che l’universo fenomenico, relativo e molteplice, fosse il divino stesso, la Shakti, la sua energia primordiale in azione, per cui l’idea di liberarsi e distaccarsi da essa perdeva senso e lo scopo diveniva trasformare il ricettacolo umano permettendo alla Shakti di manifestare i suoi attributi trascendentali, le siddhi o perfezioni, poteri paranormali stigmatizzati da tutti gli altri yoga in quanto spesso causa di perversioni, fallimenti e deviazioni dal cammino.

Si sa che per l’essere umano la gestione del potere è cosa dura e corrompente finchè l’ego è in giro. Ma neanche il tantra è riuscito nel prioprio intento finale, in quanto usava lo stesso processo classico di apertura dei chakra dal basso verso l’alto che conduce invariabilmente al Mahasamadhi.

 

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Le difficoltà dell'apertura dei chakra

D’altronde che questo percorso di risveglio della Kundalini sia potenzialmente pericoloso è attestato in tutte le tradizioni yogiche. Anzitutto è indispensabile la presenza di un guru (un maestro) o l’esecuzione scrupolosa di quanto riportato negli shastra (testi sacri). Questo perché la Kundalini si risveglia nei centri bassi, relativi agli stati inconsci e subconsci, pieni di materiale animale, protoumano e infraumano, materiale non illuminato, ignorante, atavico, che improvvisamente si riversa nella coscienza.

Anche salendo lungo la scala dei chakra, dobbiamo ancora aprire chakra relativi agli appetiti, alla smania di dominio, alla forza deformata, prima di giungere al cuore dove si cominciano a sperimentare emozioni e sentimenti superiori.

Salendo ancora arrivano le siddhi, i succitati poteri che molto spesso sono stati causa di deviazione dal sentiero. Infine, come consegunza dell’illuminazione finale e della liberazione dall’ego, come descritto, lo yogi si libera del corpo e dell’universo fenomenico.

 

L'apertura dei chakra nello yoga integrale

Una rivoluzione in questo senso è stata apportata dallo yoga integrale di Sri Aurobindo, rivoluzionario tanto nella scena politica dell’epoca quanto nello yoga. Dopo aver sperimentato la condizione descritta come Nirvana pur continuando a dirigere una vita attiva, egli sperimentò un fenomeno spontaneo fino ad allora unico, provato e confermato in seguito da Mirra Alfassa, la Madre: la coscienza non si risvegliò con l’apertura del chakra della radice ma anzitutto con quella del chakra della corona.

Normalmente questo in termini pratici significa Mahasamadhi, ciò che un medico chiamerebbe decesso. Eppure Sri Aurobindo continuò a vivere e ad essere testimone di un processo innovativo, sconosciuto fino ad allora e capace di sintetizzare non solo la liberazione auspicata negli yoga ortodossi ma anche la trasformazione del corpo sognata dai tantristi.

La Shakti, invece di salire dal basso sotto forma di kundalini individuale srotolata, scende dall’alto aprendo per prima la mente e riversandovi tutta la necessaria luce e conoscenza per poter procedere nella discesa verso l’ignoranza e l’incoscienza.

Perchè mai infatti partire dall’oscurità senza una luce, se non quella di un raro guru non certo alla portata di mano di tutti? La discesa della shakti, prosegue dunque attraverso i vari livelli della mente apportando le dovute palingenesi, poi più in basso a trasformare gli apparati vitali e infine si riversa nei piani incoscienti, cercando di illuminarne a giorno i segreti.

Ma siamo sicuri che il Muladhara sia l’ultimo chakra? Tramite questo processo la Madre ci dice che esistono ulteriori chakra inferiori, relativi a livelli di coscienza ancora piu’ oscuri, refrattari e involuti, definiti nescienti e relativi ad un passato non solo preumano ma addirittura preanimale e pervivente.  

 

Cambiamenti in accordo con lo yoga integrale

Cosa comporta tutto questo?

> Non siamo noi personalmente a fare il lavoro tramite tecniche e istruzioni nel pieno della nostra ignoranza ma e’ la Shakti stessa ad effettuare i necessari cambiamenti, onnipotentente. Decade il bisogno di guru e shastra. Quello che è richiesto è assoluta sincerità e assoluto abbandono attivo (surrender);

> Il cammino è personalizzato, la Shakti utilizza processi e fasi differenti per ogni individuo, spingendolo attraverso esperienze uniche.

> Il risultato finale non è una rinuncia al corpo ma una discesa nel fondo del corpo della coscienza assoluta, capace non solo di gestire le siddhi fino ad ora stigmatizzate ma anche di concretizzare una trasformazione della materia, un’evoluzione cosciente, senza dover più lasciare questa illusione o valle di lacrime ma con la capacità di renderla una culla di gioia immortale, l’età dell’oro. Il famoso “fare nuove tutte le cose”.

 

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