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Ballottaggio Lula-Bolsonaro e le sorti della foresta amazzonica

Il 30 ottobre è in programma il ballottaggio delle elezioni presidenziali brasiliane, in cui si sfideranno Lula e Bolsonaro. Qual è la posta in gioco?

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©bennian/123rf.com

Com’è andato il primo turno delle elezioni in Brasile

Lula, dopo due mandati consecutivi come presidente brasiliano (dal 2003 al 2011) e un lungo travaglio giudiziario che gli è costato 580 giorni di carcere per sentenze poi annullate, si è riaffacciato alla politica brasiliana con grandissime ambizioni. Tanto da candidarsi alle presidenziali con il “suo” Partito dos trabalhadores (Pt), di orientamento progressista, e sperare concretamente in una vittoria al primo turno.

 

Dopo la tornata elettorale del 2 ottobre 2022, è stato chiaro che i sondaggi forse erano stati un po’ troppo benevoli nei suoi confronti. Lula infatti è stato il più votato, come previsto, ma si è dovuto infatti accontentare del 48,4% delle preferenze. A tallonarlo da vicino col 43,3% il presidente in carica, Jair Bolsonaro. L’esatto opposto rispetto a lui: ex-militare di estrema destra, sostenuto dai colossi dell’agribusiness, arrivato al potere nel 2018 in virtù delle sue posizioni populiste che gli hanno fatto guadagnare consensi in un momento di profonda crisi economica.

 

Ma è solo una questione di politica interna brasiliana? No, tutt’altro. È qualcosa che ci riguarda in prima persona, per svariati motivi. Uno fra tutti, il fatto che il Brasile custodisca il polmone verde del nostro pianeta: la foresta amazzonica.

 

Cos’ha fatto (e cosa non ha fatto) Bolsonaro per la foresta amazzonica

A parole, entrambi i candidati promettono di tutelare l’Amazzonia. Anzi, in occasione del summit sul clima voluto dal presidente statunitense Joe Biden il 22 aprile 2021, Jair Bolsonaro ha anche fatto una promessa molto chiara e ambiziosa: azzerare la deforestazione illegale entro il 2030

 

I fatti, però, ci dimostrano che la sua amministrazione si è mossa in tutt’altra direzione. Ha sottratto risorse e poteri all’agenzia di protezione ambientale statale (Ibama) e a quella per la tutela della biodiversità (ICMbio), svuotandole dall’interno. Ha allentato le normative sulla deforestazione illegale e ha reso meno efficaci i controlli, imponendo che venissero annunciati con anticipo. 

 

Questo clima di controlli superficiali e lacunosi ha portato i suoi – amari – frutti. Uno studio scientifico fa sapere che, tra il 2019 e il 2020, le autorità hanno ricevuto oltre 115mila segnalazioni di deforestazione in Amazzonia. L’Ibama ha preso provvedimenti soltanto per l’1,3 per cento di esse. La procura federale, invece, è intervenuta soltanto nell’1,17% dei casi. A conti fatti, dunque, quasi il 98% è stato ignorato.

 

Come sta la foresta amazzonica dopo 4 anni di Bolsonaro

Al di là delle ideologie, ormai sono i monitoraggi satellitari a dirci in che stato di salute è la foresta amazzonica e quali vicissitudini ha attraversato nel corso degli anni. 

 

La curva della deforestazione ha toccato livelli vertiginosi nei primi anni Duemila: resta tristemente storico il dato del 2004, quando vennero cancellati 30mila chilometri quadrati di foresta amazzonica. Una superficie maggiore rispetto a quella della regione italiana più estesa, la Sicilia, a quota 25mila. Un numero che si è letteralmente dimezzato nell’arco di soli tre anni, quelli dell’amministrazione Lula, fino a toccare il loro minimo storico nel 2012 con “soli” 4.600 chilometri quadrati distrutti, poco più dell’estensione del Molise.

 

A quel punto, però, il governo di Dilma Rousseff – compagna di partito dello stesso Lula – ha iniziato ad allentare la presa, anche per le pressioni dei poteri economici, e i risultati non hanno tardato ad arrivare. Pur senza più toccare i livelli clamorosi dell’inizio del secolo, tra il 2012 e il 2020 il tasso di deforestazione è cresciuto del 141%. Troppo, per poter pensare che si trattasse soltanto di una coincidenza.

 

Nell’ultimo biennio del primo (e per ora unico) mandato di Bolsonaro, la perdita di foresta amazzonica censita dal Global Forest Watch ha assunto dimensioni catastrofiche: tre milioni di ettari in due anni, cioè 30mila chilometri quadrati. Con conseguenze irreversibili per la biodiversità, per la vita dei popoli indigeni, e anche per noi, perché è ampiamente dimostrato che la foresta tropicale primaria assorbe CO2 mitigando i cambiamenti climatici.

 

Una catastrofe, appunto. Che, d’ora in poi, non ci potremo più permettere.