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Il capitalismo si è rotto, a spese della collettività

I nostri sistemi economici sono dominati da una finanza indifferente al bene del Pianeta e delle persone. Ma siamo ancora in tempo per cambiare. Lo sostiene l’economista Mariana Mazzucato nella sua critica al capitalismo.

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©Karel Miragaya / 123rf.com

L’eredità della crisi finanziaria globale

“Muore il mercato per autoconsunzione”, cantavano i Baustelle. Era il 2008, mancavano solo pochi mesi alla crisi finanziaria che avrebbe sconquassato alle radici un sistema economico globale apparentemente infallibile. 

 

A distanza di più di dieci anni, queste parole appaiono profetiche. Il “buco nero” che si è aperto simbolicamente con il fallimento di Lehman Brothers ha trascinato giù con sé prima l’economia statunitense e poi quella europea, che ha risposto soprattutto a suon di austerity, cioè tagliando la spesa pubblica per riportare in ordine i conti e riconquistare la fiducia dei mercati. 

 

Piano piano le nostre economie si sono lasciate questa tempesta alle spalle, imboccando la strada della ripresa. Ma osservando la “big picture”, il quadro generale, cos’è cambiato? I paesi avanzati sono riusciti a imparare la lezione e virare verso un nuovo modello di sviluppo? Purtroppo, secondo molti analisti, la risposta è no. 

 

L’analisi dell’economista Mariana Mazzucato

Tra chi la pensa così c’è anche Mariana Mazzucato, economista e professoressa alla UCL (University College of London), dove ha fondato l’Institute for Innovation and Public Purpose. È autrice del volume The value of everything, pubblicato anche in italiano con il titolo Il valore di tutto (edizioni Laterza). 

 

Il capitalismo si è “rotto”, spiega in un’intervista rilasciata a Linkiesta, perché continua a portare con sé alcuni difetti strutturali

 

Innanzitutto, l’economia reale (quella fatta di industrie, lavoro e consumi) è ormai dominata da un settore finanziario ipertrofico. Secondo i dati del 2013, a fronte di un pil globale di 75mila miliardi di dollari, l’ammontare delle attività finanziarie raggiungeva i 993mila miliardi. 

 

Cosa ancora più grave, la finanza non serve più a sostenere l’economia, ma si muove su binari separati ed è puramente fine a se stessa: gli investimenti ormai sono focalizzati sui cosiddetti settori FIRE (finanza, assicurazioni e immobiliare) e le aziende preferiscono ricomprarsi le azioni, invece di investire sul capitale umano o sugli stabilimenti. 

 

Anche quando intervengono gli investimenti pubblici, sottolinea Mazzucato, spesso questi si muovono solo su logiche puramente assistenziali. Da parte di molti settori industriali, manca la volontà di evolversi nella direzione di uno sviluppo più sostenibile. I governi seguono a ruota, foraggiando misure che tamponano l’emergenza nel breve periodo invece di risolvere problemi strutturali e passare al livello successivo. 

 

E non si tratta “solo” di una questione economica, avverte. La popolazione patisce sulla sua pelle i tagli al welfare, l’insoddisfazione, la perdita di potere d’acquisto, l’incertezza sul futuro. E, sempre più spesso, risponde affidandosi ciecamente all’“uomo forte”, com’è successo negli Stati Uniti con Donald Trump e in Brasile con Jair Bolsonaro. La professoressa Mazzucato non usa mezzi termini: rischiamo l’avanzata di un nuovo fascismo. 

 

Le possibili soluzioni per un capitalismo più equo

Per com’è stato descritto finora, il quadro appare decisamente cupo. Ma le vie d’uscita esistono e coinvolgono la politica, la società, l’ambiente. Serve soltanto la volontà di adottarle.

 

L’esigenza di lottare per una società tollerante ed equa […] va di pari passo con l’importanza della definanziarizzazione dell’economia e con la lotta ai cambiamenti climatici. Le tre cose sono assolutamente collegate, perché lavorare sulle prime significa spingere per una crescita sostenibile, verde, inclusiva. Significa passare da un modello di estrazione del valore a uno di creazione del valore”, sostiene Mazzucato.

 

La politica dovrebbe scoraggiare le scommesse sul breve periodo (come le transazioni finanziarie automatizzate, che avvengono nell’arco di millisecondi) e favorire gli investimenti nell’economia reale, meglio ancora se vanno a beneficio dell’innovazione e del bene pubblico, continua. 

 

Chiaro, un cambiamento di questa portata non si può raggiungere dall’oggi al domani, conclude Mazzucato. Serve uno sforzo congiunto che vada oltre i confini del singolo stato e coinvolga governi illuminati, economisti, ricercatori, avvocati, media. Ma ne vale la pena, perché è in gioco il nostro futuro.