Caporalato: solo dei consumatori consapevoli lo sconfiggeranno
Yvan Sagnet è fondatore della rete internazionale NoCap e lavora per la lotta allo sfruttamento dei braccianti agricoli battendosi per una filiera etica in agricoltura. Lo abbiamo incontrato.
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Il lavoro non contrattualizzato e il caporalato muovono un business di 4,8 miliardi di euro soltanto in Italia. Un’impresa agricola su 4, impiega personale a basso costo ricorrendo al caporale e si stima che nelle regioni a grande vocazione agricola siano circa 400.000 i lavoratori soggetti a manodopera irregolare o vittime dello sfruttamento.
I dati provengono dal rapporto "Agromafie e caporalato", la puntuale ricerca dell'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil che ben inquadra il volume di un fenomeno a cui il consumatore non sempre pone la giusta attenzione.
Se in Italia abbiamo una legge contro il caporalato lo dobbiamo in gran parte a Yvan Sagnet, che nell’estate del 2011 era a Nardò (Lecce) a coordinare il primo vero sciopero prolungato dei braccianti agricoli.
Non si può morire tra i campi per raccogliere i pomodori “da sole a sole” (ovvero dall’alba al tramonto) per 3, 4 euro all’ora. Non si può accettare che alle categorie più fragili della società sia negata ogni dignità di lavoratore.
Yvan, classe 1985, è nato in Camerun ed è appassionato dell’Italia da quando a 5 anni ha iniziato a sognare le “Notti magiche” di Bennato e Nannini grazie al miracolo compiuto dalla sua nazionale di calcio, in grado di battere l’Argentina di Maradona.
Una borsa di studio l’ha portato a Torino a compiere gli studi in Ingegneria delle Telecomunicazioni mentre il bisogno di mantenersi le spese universitarie l’ha condotto a Nardò, a fare il bracciante stagionale insieme a tanti altri giovani come lui, italiani e stranieri, per pochissimi soldi e ancora meno diritti.
Oggi è il fondatore di un’associazione internazionale che si occupa di lotta al caporalato, No Cap, e in pochi mesi di attività ha già permesso l’assunzione di 122 persone in Sicilia, Puglia e Basilicata.
Yvan Sagnet è stato insignito Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Quali sono le cause reali del caporalato?
Il caporalato è funzionale a un sistema di illegalità innanzitutto, ma beneficia anche di un modello di sviluppo economico insostenibile: c’è uno strapotere delle multinazionali della grande distribuzione organizzata (Gdo) che, attraverso un sistema di impostazione dei prezzi dei prodotti - prezzi sempre più bassi - schiaccia i produttori.
Questi, a loro volta, schiacciano chi si trova al livello più basso della catena, i braccianti: è un mondo senza regole, dove conta la massimizzazione del profitto. Per combattere il caporalato bisogna partire dal prezzo del prodotto, pagare per il suo vero valore.
Si può riconoscere un prezzo “giusto” per un prodotto agricolo?
E' molto complicato fissare il prezzo, non si può dare una stima che valga sempre.
L’agricoltura è un mondo complesso, qui incidono incognite come le intemperie che possono devastare un raccolto, gli aspetti climatici che influenzano le rese e la qualità. In questo settore si lavora rispetto a quello che c’è in quel momento e si valuta il prezzo, per questo non
è così semplice stabilire un prezzo giusto.
E’ importante, allora trovare partner sensibili alla complessità di questo settore in grado di pagare al produttore la giusta cifra per il frutto della sua impresa.
Un progetto andato a buon fine è l’intesa con il Gruppo Megamark di Trani, con oltre 500 supermercati nel Mezzogiorno e Rete Perlaterra, un’associazione di imprese che promuovono pratiche agroecologiche di lavoro della terra.
E’ il primo esperimento in Italia di un sistema di tracciabilità delle filiere agroalimentari mediante l’utilizzo del bollino etico “NoCap” e del marchio di qualità etico “IAMME”.
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©NoCap.it
Come interviene NoCap, per far incontrare la Gdo e i piccoli produttori?
Quello che ci muove è un impianto che veda i diritti delle persone rispettati. Abbiamo adottato una strategia innovativa partendo ancora una volta dal prezzo: se il prezzo è giusto, il datore di lavoro può garantire i minimi sindacali ai lavoratori e indicare il prezzo di vendita che ritiene giusto per la sua merce.
Bisogna dare la possibilità all'agricoltore di fare la sua impresa. Noi facciamo incontrare un gruppo di distribuzione disposto a comprare le bottiglie di salsa al prezzo stabilito dal produttore: in cambio vogliamo fuori il caporalato e il lavoro nero.
Queste condizioni permettono al lavoratore di essere assunto in modo regolare. A queste condizioni l’agricoltore può indicare di quanti lavoratori ha bisogno per la sua impresa e noi glieli andiamo a cercare andandoli a prendere in quei luoghi della contraddizione sociale, dalle baraccopoli ai ghetti, sottraendoli alla criminalità organizzata.
Ci sono diverse zone franche di lavoro nero in Italia. Noi andiamo lì e facciamo sindacalizzazione, parliamo coi ragazzi e questa cosa è vista male dai caporali perché significa togliere degli schiavi che loro erano abituati a sfruttare.
In questo percorso di lavoro legale troviamo un alloggio e un mezzo di trasporto adeguato, perché l'agricoltura ha bisogno di servizi. In questo percorso, garantiamo anche una sostenibilità del prezzo per il consumatore, che non potrà spendere, ovviamente, 10 euro per una passata.
Questo modello può essere replicato e abbiamo molte richieste di nuovi partner, ma si tratta di progetti lunghi e impegnativi, con molte difficoltà da superare e per questo non si può improvvisare.
Quante persone avete aiutato finora?
In due mesi il nostro progetto ha coinvolto Puglia, Basilicata e Sicilia garantendo l’assunzione di 122 braccianti: una cinquantina circa nel foggiano, una trentina nel metapontino e una quarantina nel ragusano: abbiamo dato a queste persone un reddito coinvolgendo una ventina
di imprese agricole.
La nostra realtà ha un impatto sociale che consente di risollevare la nostra agricoltura per dare dignità ai nostri lavoratori. Questa è una precondizione per instaurare un modello economico più sano e rispettoso.
Come può contribuire il consumatore finale nella lotta al caporalato?
Diciamo che ogni euro speso dal consumatore consapevole non alimenta il circuito vizioso del caporale ma il circuito virtuoso che riconosce il lavoro del contadino e la dignità dei braccianti.
Lavoriamo per porre dei paletti sul mercato: pensiamo che ci sono 60 milioni di abitanti in Italia, di questi consumatori il 48% si orienta sfortunatamente verso il mercato non etico andando a alimentare in modo inconsapevole il sistema di sfruttamento.
Noi chiediamo di avviare un percorso rivoluzionario di presa di coscienza su un settore in preda al potere di una minoranza della GDO.
Sono 4 gli attori fondamentali della filiera agricola: i lavoratori, il produttore, la commercializzazione e il consumatore: il potere di
acquisto del consumatore farà la differenza. La nostra è anche una battaglia culturale.