Come si comporteranno le compagnie aeree dopo la pandemia
Migliaia di licenziamenti, perdite miliardarie, un futuro incerto. Sono le prospettive delle compagnie aeree, travolte dal coronavirus. Ma l’emergenza sanitaria ed economica rischia di far passare sotto silenzio il tema ambientale.
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Uno tsunami sui lavoratori
Tremila licenziamenti, pari a circa il 15% della forza lavoro complessiva, soprattutto tra i piloti e il personale di bordo. Stipendio sforbiciato del 20% per tutti gli altri. È la doccia fredda che è arrivata ai dipendenti Ryanair il primo maggio, festa dei lavoratori.
Ad annunciare questi tagli drastici è stato il numero uno della compagnia low cost irlandese, Michael O’Leary, che in un’intervista alla Bbc li ha definiti “il minimo che ci serve per sopravvivere ai prossimi dodici mesi”. Se non si troverà un vaccino per il coronavirus, ha aggiunto, in futuro ne seguiranno molti altri.
Pochi giorni prima, sulle pagine del Financial Times, O’Leary si era scagliato duramente contro l’ipotesi di lasciare vuota la fila centrale per garantire il distanziamento sociale: “O il governo paga per il sedile vuoto o non voleremo”.
Questa è una delle dichiarazioni più eclatanti rilasciate finora, ma tutti gli indizi fanno supporre che ne seguiranno molte altre nei prossimi mesi. Secondo le stime della Cnn, sommando Ryanair, Lufthansa, British Airways, Scandinavian Airlines e Air France-Klm, si potrebbe arrivare a un totale di 32mila posti di lavoro persi.
Il coronavirus paralizza il traffico aereo
Una delle prime vittime della pandemia, d’altra parte, è stata proprio il traffico aereo. Gli Stati colpiti hanno subito blindato i confini con l’estero (o addirittura, come nel caso dell’Italia, quelli interni tra regioni), consentendo gli spostamenti solo in casi di necessità inderogabili.
Ancora non ci sono direttive ufficiali sul momento in cui potremo tornare a volare, tanto più in direzione di un Paese estero. C’è chi ipotizza che si debba attendere fino alla fine dell’anno, o addirittura al 2021, ma per ora si tratta solo di supposizioni.
Un altro capitolo tutto da scrivere è quello delle misure di distanziamento sociale che saranno previste a bordo: la fila centrale dovrà restare vuota, come lamenta il Ceo di Ryanair? Il personale di bordo dovrà indossare guanti e mascherina? I passeggeri dovranno essere sottoposti a controlli sanitari? Oggi come oggi è ancora impossibile affermarlo con certezza.
Quel che è certo è il crollo del 52,9% del traffico passeggeri globale attestato a marzo dalla IATA (International Air Transport Association) rispetto allo stesso periodo del 2019. Al netto dei fattori stagionali, i volumi di passeggeri sono tornati ai livelli del 2006; solo all’indomani dell’11 settembre si era assistito a un tracollo simile.
Per il 2020 l’associazione si attende una contrazione del volume di passeggeri pari al 48% anno su anno, più netta per il traffico internazionale che per quello interno. Anche quando le maglie delle restrizioni saranno allentate, bisognerà fare i conti con la sfiducia da parte delle persone. Il 30% del campione interpellato da una recente indagine della IATA si aspetta di non tornare a volare per circa sei mesi, un altro 10% si pone un orizzonte temporale di un anno.
Le compagnie aeree chiedono sussidi. E l’ambiente?
Travolte dalla crisi, le compagnie aeree europee hanno prontamente fatto appello ai loro governi alla ricerca di sovvenzioni. Le ong Transport & Environment, Greenpeace and Carbon Market Watch ne tengono traccia giorno dopo giorno: alla data del 30 aprile avevano superato i 26 miliardi di euro, tra quelle già accordate (11,5 miliardi) e quelle ancora in fase di esame (14,6 miliardi).
Si tratta di soldi pubblici, stanziati in una fase in cui i bilanci statali sono già fortemente pressione per dare sostegno ai sistemi sanitari, alle famiglie e alle imprese. Per questo – sostengono le ong – sarebbe auspicabile che il via libera ai finanziamenti venisse quantomeno subordinato al rispetto di alcune condizioni. Ambientali, in primis.
Non si può infatti dimenticare che le emissioni di CO2 legate ai voli aerei in Europa sono cresciute del 4,9% nel corso del 2019, mentre quelle degli altri settori coperti dal sistema di scambio delle emissioni (centrali a carbone comprese) scendevano del 3,9%. Nell’arco di cinque anni, l’inquinamento da CO2 del comparto ha segnato un clamoroso +26%.
Eppure, l’unica esponente delle istituzioni a sollevare questo problema è stata la ministra dei Trasporti austriaca, Leonore Gewessler. In risposta alle richieste da parte di Austrian Airlines (che fa parte del gruppo Lufthansa), ha dichiarato che qualsiasi incentivo pubblico dovrà essere legato a precisi obiettivi climatici.
Tutti gli altri tacciono. E i cittadini dell’Unione rischiano di pagare due volte: la prima per salvare le compagnie aeree, la seconda per il loro impatto ambientale.