Crociera: quando il viaggio non è sostenibile
Ogni anno, 28,5 milioni di persone salgono a bordo di una nave da crociera. Ma che fine fa la sostenibilità? Qualche spunto di riflessione.
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Le immagini le ricordiamo tutti. È il 2 giugno 2019 quando la nave da crociera Msc Opera si scontra conto un battello ormeggiato nel canale della Giudecca. 130 le persone a bordo, cinque le turiste che restano ferite. Per fortuna i danni sono lievi e la tragedia è scampata, ma la domanda sorge forte e chiara: cosa ci fa nel cuore della Laguna di Venezia un gigante di 275 metri per 65mila tonnellate?
Circa un mese dopo è il turno di una nave della Costa Crociere, sempre a Venezia. Sta cercando di uscire dal porto, guidata dai rimorchiatori, ma deve scontrarsi con una tempesta di vento e grandine e non riesce a mantenere la rotta. Quasi per miracolo non urta i vaporetti in navigazione, ma tra i passeggeri si scatena il panico.
Si potrebbe dire che sono solo episodi. Si potrebbe dire che una città preziosa e fragile come Venezia, messa in ginocchio da un turismo ipertrofico, non è certo la norma. Ma la verità è che il settore delle crociere pone enormi interrogativi termini di sostenibilità.
La moda intramontabile delle crociere
Prima di tutto, un po’ di numeri. Secondo la Cruise Lines International Association, 28,5 milioni di passeggeri sono saliti a bordo di una nave da crociera nel 2018. Il crocierista medio ha 47 anni e rimane a bordo per una settimana. Uno su due è statunitense; seguono, molto a distanza, gli europei (più di 7 milioni) e gli asiatici e australiani (5,7 milioni).
Ad accoglierli e assisterli sono 1,1 milioni di addetti ai lavori, che messi insieme si portano a casa più di 45 miliardi di dollari di stipendio. Le 314 grandi navi che solcano gli oceani portano un indotto sull’economia globale che, secondo l’associazione di categoria, ha raggiunto i 134 miliardi di dollari nel 2017.
Questi numeri diventano ancora più significativi se si considera che stiamo parlando di un settore che quasi non esisteva fino a qualche decennio fa (nel 1990 i passeggeri erano appena 3,7 milioni) e che è apparso praticamente immune anche ai momenti peggiori della crisi economica.
Quanto inquinano le navi da crociera
Gli affari, insomma, vanno a gonfie vele. Ma a quale prezzo? Secondo le elaborazioni di Transport & Environment, in Europa la Carnival Corporation (l’operatore numero uno al mondo) inquina dieci volte in più rispetto a tutte le auto in circolazione. 47 navi contro 260 milioni di veicoli. Subito dopo arriva la Royal Caribbean: 28 navi, il quadruplo delle emissioni di tutte le auto del Vecchio Continente.
Secondo un’analisi pubblicata nel 2016, l’impronta di carbonio di un passeggero a bordo è il triplo rispetto a quello del turista medio.
Il porto che paga le conseguenze ambientali più pesanti è quello di Barcellona, dove attraccano 105 mastodonti del mare, che inquinano quasi il quintuplo rispetto alle 560mila auto in giro per le strade e riversano a terra una folla di 2,7 milioni di turisti ogni anno. Dopo Palma de Mallorca (87 navi) troviamo due porti italiani, Venezia a quota 68 e Civitavecchia a quota 76.
Un mare di turisti a soffocare le città
Qui si apre un’altra annosa questione. Perché i turisti vanno pur sempre ospitati, sfamati, intrattenuti. Possibilmente senza sacrificare la qualità della vita di chi, in città, ci abita 365 giorni all’anno.
A giudicare da come se la sta cavando la capitale europea delle crociere, la missione appare ostica. Nel 1990 appena 1,7 milioni di turisti soggiornavano a Barcellona almeno per una notte, poco più rispetto alla popolazione dell’area. Nel 2016 erano 8 milioni. Secondo alcune stime che conteggiano anche chi visita la città in giornata (come appunto i crocieristi), il totale schizza addirittura a 20 milioni.
E i residenti? Scappano. Il numero di abitanti del centro storico è crollato dell’11% in appena quattro anni. D’altra parte, trovare una casa è ormai un’odissea, perché per i proprietari è molto più conveniente metterla in affitto su Airbnb a tariffe ben più alte.
All’inquinamento nel porto si aggiunge quello dovuto al traffico, che ha costretto l’amministrazione a spremersi le meningi su un rivoluzionario piano urbanistico. I mercati, i bar, gli scorci più “instagrammabili” sono colonizzati 365 giorni all’anno.
“In un certo senso Barcellona rischia di perdere la sua anima. Dobbiamo cercare un equilibrio corretto tra la globalizzazione, nella sua versione migliore, e la tutela del carattere, dell’identità e della vita della città”. Sono le parole che la sindaca Ada Colau ha affidato alle colonne del Guardian alla vigilia della sua elezione.
“Questo è ciò che la rende così attraente: non è una città monumentale, non è una capitale come Parigi, la sua caratteristica principale è proprio la sua vita, la sua vitalità, la sua diversità mediterranea. Vogliamo che i visitatori possano conoscere la vera Barcellona, non un parco divertimenti pieno di McDonald’s e souvenir senza una vera identità”.
Gli impegni delle big delle crociere
A onor del vero, le big delle crociere hanno capito che la sostenibilità è un tema che non può essere più ignorato.
Prendiamo ad esempio la numero uno, Carnival, che in Italia forse ci suona più familiare con il marchio Costa Crociere. Un gigante che da solo fa viaggiare 325mila persone al giorno – 11,5 milioni all’anno – accaparrandosi così la metà del mercato globale. Con dieci brand, 120mila dipendenti e 16,4 miliardi di dollari di fatturato nel 2016, è in 312ma posizione nella classifica Forbes delle duemila aziende più grandi e potenti a livello globale.
Spulciando il suo ultimo report di sostenibilità, si scopre che nel 2017 l’azienda ha migliorato del 27,5% la propria impronta di carbonio rispetto al 2015 e ha messo in mare la prima nave interamente alimentata a GPL. Su altri fronti, il cambiamento è ancora un work in progress. Per il 2020 per esempio l’azienda promette di ridurre del 5% i rifiuti generati dalle operazioni di bordo rispetto al 2016; di incrementare del 5% l’efficienza idrica rispetto al 2020; di sforbiciare del 25% le emissioni rispetto al 2005.
Il potere di scegliere
Anche gli altri operatori si impegnano a dimostrarsi più rispettosi del Pianeta. E i loro sforzi, come quelli di chiunque si attivi per la sostenibilità, meritano di essere osservati con fiducia.
Viene da chiedersi, però, se tutto questo sia sufficiente. Se è il modello stesso di viaggio ad andare contro determinate logiche di sostenibilità, basterà dare una sforbiciata ai consumi o incrementare la quota di materiali riciclabili? Non rischia, per restare in tema, di essere una goccia nel mare?
Difficile trovare una risposta certa. Resta il fatto che noi, come cittadini, abbiamo il grande potere di decidere come spendere i nostri soldi. Anche in vacanza. Siamo liberi di cedere alle tentazioni dei cataloghi patinati, oppure di prendere una strada un po’ meno modaiola, se ci sembra più coerente con i nostri principi. A noi la scelta.