Il disastro, annunciato, dell'Himalaya
Il 7 febbraio 2021 il collasso di un ghiacciaio dell'Himalaya ha provocato una disastrosa inondazione. Non è stata una casualità, ma una naturale manifestazione della crisi climatica.
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Il Vajont indiano del 7 febbraio 2021
È stato ribattezzato “il Vajont indiano” il disastro accaduto nello stato dell’Uttarakhand, in India, domenica 7 febbraio 2021. Il ghiacciaio Nanda Devi sull’Himalaya ha ceduto facendo esondare tre fiumi, l’Alaknanda e il Dhauli Ganga e il Rishi Ganga. Il torrente di acqua, fango e pietre ha travolto case, strade e villaggi, distruggendo – tra le altre cose – anche due dighe. Una, la più grande, era ancora in costruzione.
Circa 2mila soccorritori, tra militari, paramilitari e poliziotti, si sono immediatamente precipitati sul luogo del disastro per trarre in salvo gli operai che stavano lavorando agli impianti. Il bilancio delle vittime è ancora parziale, ma si parla di 72 morti.
I ghiacciai dell’Himalaya vittime dei cambiamenti climatici
Com’è possibile che un ghiacciaio dell’Himalaya collassi improvvisamente provocando conseguenze così disastrose? A darci una risposta è la scienza.
Un recente studio pubblicato da Science Advances passa in rassegna le rilevazioni satellitari effettuate negli ultimi quarant’anni tra India, Cina, Nepal e Bhutan. Mettendo in luce un dato clamoroso: a partire dal 2000, i ghiacciai hanno perso quasi mezzo metro di ghiaccio ogni anno, il doppio rispetto al periodo compreso tra il 1975 e il 2000.
La fusione dei ghiacciai è un fenomeno trasversale e in costante crescita, sottolineano gli autori. Che non hanno alcun dubbio sul colpevole: il riscaldamento globale.
“Sappiamo che le temperature stanno aumentando in tutto l’Himalaya. E sappiamo che il tasso di perdita di massa dei ghiacciai è accelerato nel tempo. E questo influisce su tutto, dalle risorse idriche ai pericoli per tutta la catena montuosa”, sottolinea uno degli autori, Summer Rupper, glaciologo presso l’università dello Utah.
Le parole di Vandana Shiva
“I disastri himalayani, compresa la tragedia del 7 febbraio 2021, sono una conseguenza dell’ignoranza e dell’avidità, l’avidità di estrarre l’ultima goccia di petrolio e gas dal sottosuolo, l’ultimo chilowatt di energia dall’ultimo fiume, compresa la nostra sacra madre Gange e i suoi affluenti, l’ultimo soldo, l’ultima rupia della natura e dei lavoratori”.
Questa la riflessione dell’attivista indiana Vandana Shiva che da sempre si batte per un rapporto più equilibrato e rispettoso tra uomo e natura. Le sue parole sono tratte dalla prefazione al volume “Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità”, scritto dalla giornalista Fausta Speranza.