L'impatto di Google sul pianeta
Dalle emissioni di CO2 ai rifiuti, passando per le spedizioni: qual è l’impatto ambientale di Google e quali sono i progetti per diminuirlo?
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Fino al 1998, Google non esisteva. Sono passati poco più di vent’anni e sarebbe impossibile farne a meno: è a Google che chiediamo chi ha vinto le elezioni, come raggiungere un nuovo ristorante, quale modello di bicicletta è più conveniente e quando abbiamo fissato l’appuntamento dal dentista.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito, ma il concetto è chiaro: il colosso di Mountain View ogni giorno offre una pletora di servizi diversificati a miliardi di persone in tutto il Pianeta.
Ma cosa significa tutto questo in termini di impatto ambientale? Se mettiamo insieme gli edifici, le tecnologie, i server, le persone, le operazioni e tutto ciò che ne consegue, qual è il bilancio? Dare una risposta univoca è pressoché impossibile, ma ci sono parecchi spunti di riflessione che vale la pena di approfondire.
Emissioni di CO2: compensare è sufficiente?
Fin dal 2007 Google si dichiara carbon neutral: ciò significa che produce emissioni di CO2, ma le compensa mediante l’acquisto di crediti di carbonio. Nel 2010 ha siglato il primo accordo per acquistare energia da un parco eolico in Iowa, fino ad annunciare nel 2017 di essere in grado di alimentare tutte le operazioni globali (compresi uffici e data centre) esclusivamente con energie rinnovabili.
Secondo i dipendenti, però, questo ancora non basta. A novembre 2019 la dirigenza si è vista consegnare una petizione con oltre mille firme, che chiedeva misure ancora più drastiche e urgenti per contrastare i cambiamenti climatici:
> raggiungere le emissioni zero entro il 2030;
> tagliare i ponti con le aziende che operano nell’estrazione dei combustibili fossili;
> azzerare i finanziamenti a organizzazioni, lobby ed esponenti politici che negano il riscaldamento globale;
> smettere di collaborare con chiunque permetta la prigionia, la sorveglianza, la deportazione o l’oppressione dei rifugiati.
I prossimi impegni di Google per l’ambiente
Anche i più agguerriti, tuttavia, non possono negare che le iniziative di Google sul fronte della sostenibilità siano ben più coraggiose rispetto a quelle di altri colossi tecnologici. A ripercorrerle è la testata Evening Standard, che ha intervistato Kate Brandt, responsabile dell’azienda per tutto ciò che concerne la sostenibilità.
Quest’anno "Big G" ha annunciato due grandi obiettivi:
> tutte le spedizioni di prodotti ai consumatori finali devono diventare carbon neutral entro il 2020. Finora le spedizioni aeree sono già state sostituite con quelle via mare, con una sforbiciata delle emissioni pari al 40%;
> entro il 2022 tutti i prodotti realizzati da Google saranno composti, almeno in parte, da materiali riciclati. A livello tecnologico si tratta di un cambiamento non di poco conto, perché impone di trovare un giusto compromesso tra fattibilità tecnica, costi e prestazioni.
Economia circolare per i data center
L’impatto ambientale dei colossi del tech comincia molto prima rispetto al momento in cui i prodotti vengono recapitati ai loro consumatori finali, suggerisce Evening Standard.
Pensiamo per esempio ai data centre (centri di elaborazione dati) che ospitano server, storage, gruppi di continuità e in generale tutte le infrastrutture necessarie per far funzionare la gigantesca macchina di Google. Si tratta di strutture imponenti che, per forza di cose, consumano moltissima energia.
Su questo tema si incentra la partnership con la Ellen MacArthur Foundation, che a partire dal 2016 ha preso in esame i data centre e ha messo in atto diverse migliorie in un’ottica di economia circolare. Quattro i pilastri della strategia:
> allungare la vita utile dei singoli materiali;
> impiegare il più possibile le componenti ricondizionate;
> redistribuire e riutilizzare i prodotti (o le parti) in eccesso;
> incrementare costantemente la quota di riciclo.