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Ricerca di minerali nel Corchia: arriva il colosso australiano

Il colosso minerario Alta Zinc ha messo gli occhi sulle miniere del Corchia, nel cuore dell'Appennino parmense. Insorgono residenti e organizzazioni ambientaliste.

Berceto

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©Bjørn Christian Tørrissen / 123rf.com

Chiesto il via libera per le esplorazioni minerarie nel Corchia

Chi ha avuto occasione di visitare la zona tra Berceto e Borgo Val di Taro, nell’Appennino parmense, serba il ricordo di un incantevole gioiello naturalistico che ha avuto la fortuna di restare al di fuori dalle rotte del turismo di massa.

 

È facile quindi immaginarsi lo sgomento di residenti e stagionali nello scoprire che il colosso minerario Alta Zinc ha messo gli occhi proprio sulle miniere del Corchia, nel cuore di questo delicato territorio.

 

Dopo aver avviato le esplorazioni minerarie della bergamasca, il gruppo ha richiesto analoghe licenze in Liguria e nel parmense. Qui, in particolare, è interessato alla vecchia miniera di rame Pietra del Fuoco, già sfruttata tra la fine dell’ottocento e l’inizio del Novecento per poi essere abbandonata nel 1943. Oggi è un’attrazione turistica. 

 

Molto critiche le amministrazioni dei due Comuni coinvolti, che sostengono di non essere state interpellate. “Non abbiamo piacere di far bucherellare le nostre montagne e non è auspicabile che venga data questa concessione. Il nostro territorio, fra l'altro, è parte di un Sito di interesse comunitario”, dichiara a la Repubblica il sindaco di Berceto Luigi Lucchi.

 

Si teme per l’equilibrio del territorio

“Questo territorio è già stato oggetto di estrazioni minerarie a lungo, per poi essere abbandonato per improduttività. Ora si ripropone un utilizzo di sfruttamento”, fa notare Guido Sardella, coordinatore della riserva naturale regionale e oasi Wwf dei Ghirardi

 

“La cosa che preoccupa di più è la totale mancanza di rispetto dei vincoli adottati nei decenni passati”, continua. Per circa due terzi l’area è infatti classificata come Zona speciale di conservazione (Zsc), cioè come un Sito di importanza comunitaria (Sic) a cui si applicano specifiche misure di conservazione dettate dall’Unione europea. A ciò si aggiungono le tutele previste dal piano paesistico della regione Emilia Romagna. 

 

“Tutti questi sistemi di protezione vietano le cave, l’attività mineraria e, nel caso dei Sic, addirittura la raccolta di minerali a mano”, puntualizza Sardella. “Com’è possibile che qualcuno che arriva dall’Australia possa anche solo pensare di chiedere al ministero di operare in un’area soggetta a un regime vincolistico così stretto?”. 

 

La società mineraria ha presentato direttamente al ministero le sue valutazioni di impatto ambientale e di incidenza, da cui sembra che le conseguenze su questo prezioso territorio siano nulle. Sardella appare piuttosto scettico in merito.

 

“Innanzitutto la compagnia afferma che la prospezione comporterà l’estrazione di limo dai torrenti, senza però dire quanto né dove. In questi torrenti però vivono e si riproducono l’airone, il gambero di fiume italiano e altre specie tutelate. Com’è possibile che non ci sia alcuna incidenza?

 

Lo stesso principio vale per le prospezioni aeree. Non capisco come possano essere consentiti i sorvoli prolungati con elicotteri e droni in un’area in cui è vietato addirittura il parapendio, per la presenza di aquila reale, biancone, faccio pecchiaiolo e così via. Mi sembra davvero incomprensibile. Questi studi d’impatto sembrano puramente geologici, non specializzati nella biodiversità di cui queste aree sono ricche”.

 

La rabbia dei cittadini: “Nessuno ci ha interpellati”

Non siamo stati interpellati in quanto proprietari di case, come non è stato interpellato nessuno dei borghi lì intorno”, conferma Maria Molinari, antropologa tornata a vivere a Berceto dopo gli studi a Bologna e diversi anni di lavoro per i servizi sociali della città di Parma.

 

Nella sua nuova vita nel cuore dell’Appennino parmense, Molinari è diventata guida ambientale escursionistica, ha scritto un libro (Un territorio immaginato. Vecchie e nuove migrazioni in un paese di Appennino, Mup Editore) e da cinque anni organizza il Piccolo festival dell’antropologia della montagna.

 

Ora sta cercando di fare informazione, insieme agli altri abitanti della zona. “Il tempo dello sfruttamento è finito. Questo territorio si sta riprendendo da una grossa crisi, proprio valorizzando le bellezze paesaggistiche e del patrimonio naturale e promuovendo il turismo. Un turismo ‘lento’, di conoscenza e non di sfruttamento. Proprio quando era stato avviato questo percorso positivo, è saltata fuori questa novità”, racconta.

 

Così, tante realtà del territorio molto diverse tra loro – dalle associazioni ambientaliste ai gruppi sportivi di pesca, dalle pro loco ai singoli cittadini – si sono alleate per monitorare la situazione. Senza un inquadramento formale e senza bandiere, il che “è il nostro punto debole ma anche il nostro punto di forza”, secondo Maria Molinari. 

 

“Vogliamo far capire che questa non è una terra di nessuno. È vero, dal punto di vista demografico noi residenti siamo poche centinaia, ma viviamo della bellezza di questo territorio. Intaccare questa bellezza ha delle conseguenze sulle aziende agricole, sulle guide ambientali, sull’enogastronomia, sui ristoranti. Ha delle conseguenze anche su tutti quei cittadini che in estate o nel weekend tornano qui nelle loro seconde case perché vogliono stare bene. La città e la montagna hanno bisogno l’una dell’altra”, conclude.