"Non mangiarti le foreste". La petizione di Greenpeace
Ciascuno di noi, senza nemmeno esserne consapevole, ogni giorno consuma prodotti legati alla deforestazione. L’Unione europea vuole correre ai ripari, pungolata anche da organizzazioni ambientaliste come Greenpeace.
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Cosa c’entrano i nostri consumi con la deforestazione
Ci si sente istintivamente impotenti nel guardare le immagini dell’Amazzonia dilaniata dagli incendi e dal disboscamento. A migliaia di chilometri di distanza, osserviamo il polmone verde del pianeta andare in frantumi: solo nel 2021 ne sono andati distrutti 1,5 milioni di ettari in Brasile, più altri 291mila in Bolivia e 154mila in Perù.
Sappiamo che a pagare il conto saremo anche noi, perché tra i servizi ecosistemici offerti dalla foresta primaria c’è anche quello di stoccare CO2, mitigando il riscaldamento globale. Tuttavia, ci sembra di non poter fare nulla per cambiare le cose.
In realtà, l’Amazzonia è molto più vicina di quanto sembri. Perché viene sacrificata soprattutto per produrre beni (alimentari e non) da esportare in tutto il mondo, Europa compresa. Un report del Wwf stima che addirittura l’80% della deforestazione mondiale sia legata a doppio filo ai pascoli per il bestiame, alle piantagioni di soia e a quelle di palma da olio, tutti prodotti richiesti dai paesi occidentali. Da sola, l’Europa provocherebbe indirettamente il 10% della distruzione delle foreste.
Addirittura una specialità come la bresaola Igp è prodotta, in parte, con le cosce congelate di zebù, bovino allevato soprattutto in Brasile; il disciplinare lo consente. Questo è soltanto un esempio, tutt’altro che isolato. Su tutta la carne bovina che entra nei confini europei, una quota compresa tra il 25 e il 40% proviene dal Brasile.
Su cosa sta lavorando l’Unione europea
Le istituzioni dell’Unione europea hanno deciso di prendere provvedimenti. La Commissione europea a novembre 2021 ha presentato un nuovo regolamento che intende garantire ai cittadini che nessun prodotto da loro acquistato contribuisca al disboscamento e al degrado delle foreste nel mondo.
Per mettere in pratica questo principio, la Commissione la Commissione valuterà il livello di rischio dei singoli paesi di provenienza delle principali materie prime. Dati alla mano, le imprese che commercializzano prodotti critici dovranno ricostruire l’origine dei materiali che importano e saranno ritenute responsabili non solo delle azioni che intraprendono in prima persona ma anche di ciò che succede lungo la filiera (tecnicamente si parla di due diligence).
Cosa chiede la petizione di Greenpeace
L’organizzazione ambientalista Greenpeace, mediante la campagna Non mangiarti le foreste!, esorta la Commissione a essere ancora più coraggiosa. Nello specifico, le chiede di inserire nella normativa anche:
- Una lista ben più esaustiva di prodotti e materie prime: in quella attuale mancano, per esempio, carne di maiale e di pollo, gomma e mais.
- La protezione di altri ecosistemi preziosi, come la savana e le zone umide.
- La tutela dei diritti dei popoli indigeni e delle comunità forestali tradizionali.
- Misure che impediscano a banche, investitori e compagnie di assicurazione di investire in aziende o attività legate alla deforestazione.
È possibile firmare la petizione a questo link.