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Qualità dell'aria nelle grandi città, facciamo il punto

Le grandi città italiane sono ancora molto lontane dai limiti sulla qualità dell’aria imposti dall’Oms. Un cambiamento di paradigma è necessario e urgente.

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©claudiodivizia / 123rf.com

Smog, la tregua del 2020 è stata solo temporanea

Nel 2020, almeno per qualche mese, abbiamo respirato. L’emergenza sanitaria era nel pieno dei suoi momenti più drammatici e ci ha costretti a sacrificare in toto la nostra vita sociale ma questo, perlomeno, ha avuto effetti positivi sulla qualità dell’aria. Anche nelle metropoli in cui il traffico è un problema conclamato. A Roma, per esempio, le concentrazioni di biossido di azoto (NO2) rilevate dalle stazioni di traffico sono crollate fino al 70% e quelle di PM10 fino al 27%.

 

Si è trattato però di una buona notizia soltanto temporanea. Ben presto la situazione è tornata alla normalità, anzi, per certi versi è addirittura peggiorata; come sottolinea Legambiente nel rapporto Ecosistema urbano 2021, molti cittadini hanno perso l’abitudine di usare i mezzi pubblici, anche per paura di trovarsi affollati in spazi ristretti. E meno mezzi pubblici significa più traffico e più smog. 

 

Tutto questo proprio mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) mette nero su bianco che l’inquinamento atmosferico è la più grave minaccia ambientale per la salute umana, alla pari dei cambiamenti climatici. E modifica le linee guida legate a sei diversi inquinanti, abbassando drasticamente le concentrazioni in atmosfera ritenute sicure: polveri sottili (PM₁₀ e PM₂,₅), ozono (O₃), diossido di azoto (NO₂), anidride solforosa (SO₂) e monossido di carbonio (CO)

 

I dati di Mal’aria di città 2021

Peccato, però, che attualmente questi limiti esistano solo sulla carta. A testimoniarlo è sempre Legambiente nelle pagine di un altro studio, Mal’aria di città 2022, in cui analizza i dati di 238 centraline per il monitoraggio della qualità dell’aria disseminate in tutti i 102 capoluoghi di provincia italiani. Gli inquinanti esaminati sono tre: 

 

  • PM10: l’Oms raccomanda un valore di 15 microgrammi per metro cubo, ma solo nove centraline su 230 hanno rilevato un valore così basso. Anzi, quasi una su quattro ha superato per più di 35 giorni addirittura la media giornaliera imposta dalla legge, pari a 50 μg/mc.
  • PM2,5: sulle 139 centraline che l’hanno monitorato, una (a Napoli) ha registrato una media annua di 28 μg/mc, sforando il limite di legge di 25 μg/mc. L’Oms impone una soglia ben più restrittiva, pari a 5 μg/mc, ma nessuna è riuscita a rispettarla.
  • NO2: 13 centraline su 205 hanno sfondato il tetto di 40 μg/mc imposto dalla legge, soltanto 14 hanno registrato valori coerenti con la soglia indicata dall’Oms (cioè una media annuale entro i 10 μg/mc). La situazione appare allarmante soprattutto a Napoli, Torino, Firenze, Milano, Palermo, Catania, Roma e Genova. Non è un caso se sono tutte grandi città.

 

Roma e Milano, diverse ma simili

È vero infatti che le 14 città metropolitane italiane hanno fatto tangibili passi avanti nel corso degli anni, ma è vero anche che l’obiettivo di un’aria realmente pulita e salubre è ancora lontano. Laura Tomassetti e Francesco Petracchini, entrambi ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), mettono a confronto Milano e Roma, riscontrando “strategie differenti ma comuni criticità”.

 

Milano infatti si distingue per le sue scelte virtuose in materia di mobilità, con quattro linee di metropolitana efficienti (la quinta è in arrivo), l’area C per limitare il traffico veicolare in centro, il boom delle piattaforme di sharing di auto, bici, scooter e monopattini elettrici, il rinnovato ruolo da protagonista della bici e l’impegno a convertire in elettrico il 100% della flotta di mezzi pubblici entro il 2030.

 

Nonostante ciò, le concentrazioni medie di NO2 nelle stazioni in città superano il limite di legge di 40 µg/mc e quelle di PM10, nel corso del 2020, hanno sforato il limite giornaliero per ben 90 giorni.

 

Roma non può dirsi altrettanto virtuosa. Pur essendo sceso del 13% nel decennio 2006-2016, l’indice di motorizzazione resta molto elevato (612 veicoli ogni mille abitanti) e l’uso dell’auto è cospicuo. I continui disagi vissuti dagli utenti dei mezzi pubblici, ormai, hanno valicato i confini della città conquistandosi una fama nazionale. È recente la notizia per cui le due principali linee della metro, la A e la B, chiuderanno alle 21 rispettivamente per 3 e per 18 mesi.

 

Non c’è quindi da stupirsi se anche a Roma nel corso del 2020 i valori giornalieri di PM10 sono stati superati per 46 giorni. Le concentrazioni medie annue di NO2 sono state invece inferiore al limite di legge di 40 µg/m3, ma soltanto come risultato del lockdown.

 

“Le città devono pertanto cambiare paradigma riguardo la mobilità, ripensare spazio e fruizione dello stesso per essere maggiormente più a misura d’ uomo e in linea con gli obiettivi programmatici. Questo concretamente si traduce nell’ incremento di spazi pubblici all’aperto, come gli spazi verdi, nell’aumento dell’offerta per la mobilità dolce, nella crescita della quota di veicoli puliti a zero emissioni e a bassissime emissioni nonché nell’aumento dell’efficienza del sistema di trasporto pubblico”, sostengono i due ricercatori.