Come i rapporti sulla sostenibilità aiutano a salvare il Pianeta
Misurare l’impatto di un’azienda sul Pianeta e sulla società. E farlo in modo chiaro, oggettivo, impossibile da manipolare. Il futuro sostenibile del nostro modello di sviluppo passerà da qui?
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Sostenibilità, il ruolo delle imprese
Il fatto che il nostro modello di sviluppo sia da rivedere, ormai, è assodato. Ai danni della crisi climatica si sono aggiunti anche quelli della pandemia da coronavirus, originatasi – secondo autorevoli analisi scientifiche – anche dalla distruzione degli ecosistemi e da un’intrusione troppo aggressiva dell’uomo negli equilibri naturali.
È altrettanto assodato come questo compito vada affrontato a tutti i livelli, da quello delle istituzioni (nazionali e sovranazionali) a quello dei cittadini. In una posizione intermedia si collocano le aziende. Finora hanno focalizzato tutti i loro sforzi verso l’obiettivo di perseguire il profitto e accrescere il valore per gli azionisti, un modello chiamato shareholder capitalism. A esso si contrappone lo state capitalism, per cui il governo centrale indirizza le politiche economiche.
Secondo Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum, la risposta migliore alle sfide ambientali e sociali del presente è lo stakeholder capitalism. Un approccio che considera le aziende private come “fiduciarie” della società. Il termine stakeholder infatti si riferisce in senso allargato a tutti i “portatori di interesse” di un’impresa: non solo gli azionisti, quindi, ma anche i dipendenti, i fornitori, le istituzioni, la comunità locale e così via.
Assumere una nuova consapevolezza diventa imprescindibile dopo decenni dominati dalla ricerca del guadagno senza se e senza ma, tanto da condurci sull’orlo del collasso. Anche laddove manca una sincera convinzione alla base, le imprese sono comunque costrette a cambiare per sopravvivere sul mercato. Secondo una ricerca di Accenture, una delle più grandi e affermate società di consulenza del mondo, più di sei consumatori su dieci esigono che le imprese prendano posizione su temi valoriali come la sostenibilità, i diritti dei lavoratori e la trasparenza.
La rendicontazione non finanziaria
Per mettere in pratica questo principio, però, bisogna affrontare un ostacolo non di poco conto: i numeri. Per riprendere le parole dell’economista Peter Drucker, “what gets measured gets managed”: se una cosa viene misurata, allora viene anche gestita.
Se per la rendicontazione dei dati finanziari si sono consolidati standard estremamente sofisticati, non si può dire lo stesso per le dimensioni Esg (ambiente, società e governance). Lasciare che ogni azienda faccia da sé, scegliendo quali performance rendere pubbliche e come, è fuori discussione.
Serve un modello chiaro e univoco. Un modello di cui tutti si possano fidare: dai cittadini che vogliono riempire il carrello con consapevolezza, agli investitori che devono comporre il proprio portafoglio di titoli, alle istituzioni che devono studiare una fiscalità che favorisca le realtà più virtuose.
Measuring Stakeholder Capitalism
Nel 2020, al World Economic Forum di Davos, è stata presentata un’iniziativa che vuole colmare questo vuoto. Si tratta delle Stakeholder Capitalism Metrics, indicatori che permettono di rendicontare in modo oggettivo le performance aziendali sui temi Esg e il contributo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (Sdgs).
Nel concreto, si tratta di:
- 21 core metrics, soprattutto quantitative. Sono relativamente semplici da ricavare perché fanno riferimento a dimensioni che molte società già monitorano, soprattutto se stilano un report di sostenibilità. Inoltre si focalizzano su ciò che accade all’interno dell’organizzazione.
- 34 expanded metrics che “rappresentano un modo più avanzato per misurare e comunicare la creazione di valore sostenibile”. Più sofisticate, abbracciano l’intera catena del valore.
Queste metriche sono suddivise su quattro pilastri:
- Governance. Tra le core metrics ci sono per esempio il purpose dell’azienda (cioè il suo “perché”, il valore che intende creare per la società) e le sue politiche anticorruzione. Tra le expanded metrics, invece, ci sono le perdite monetarie dovute ad azioni legali su episodi di frode, corruzione, insider trading, violazioni delle norme sulla concorrenza.
- Pianeta. Come core metrics, troviamo per esempio le emissioni di gas serra e il consumo di acqua. Tra le expanded metrics, il tasso di circolarità delle risorse.
- Persone. In questo pilatro rientrano per esempio l’equità delle retribuzioni e le ore di formazione erogate ai dipendenti (core metrics) e il benessere dei collaboratori (expanded metric).
- Prosperità. Quante tasse paga l’azienda? Quanto investe in ricerca e sviluppo? Queste sono alcune delle core metrics; tra le expanded metrics possiamo invece citare il valore sociale generato.
L’approccio proposto è il cosiddetto “disclose or explain”. Ciò significa che un’azienda è libera di omettere alcune di queste dimensioni dalla sua reportistica. In questo caso, però, è invitata a spiegare il motivo: non sono rilevanti per la sua attività? Non è riuscita a ricavare i dati?
I promotori e le adesioni
Questo progetto assume una notevole rilevanza perché a sottoscriverlo sono realtà di tutto rispetto. È stato infatti sviluppato dal World Economic Forum (l’organizzazione internazionale indipendente che ogni anno riunisce a Davos l’élite dell’economia mondiale) insieme all’International Business Council (una community di oltre 120 amministratori delegati).
A un anno dal lancio, si sono formalmente impegnati ad adottare le Stakeholder Capitalism Metrics ben 61 amministratori delegati di società come Accenture, Allianz, Deloitte, Heineken, Nestlé, Paypal, Siemens, Sony, Takeda Pharmaceutical, Unilever.
Siamo davvero alla vigilia di un nuovo modo per vedere l’impresa e il suo ruolo sociale? È ancora presto per dirlo. Numeri alla mano, però, avremo più elementi per valutare se le promesse, sempre più roboanti, siano davvero seguite dai fatti.