Il report di Greenpeace "Siamo un mondo usa e getta"
I cittadini sono sempre più allarmati dal problema ambientale della plastica, ma le multinazionali li blandiscono a suon di “false soluzioni”. La denuncia arriva da un report di Greenpeace.
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Cittadini promossi, multinazionali bocciate
Di fronte alle agghiaccianti immagini dell’isola di plastica nel Pacifico, di pesci e tartarughe soffocati dai sacchetti e delle spiagge ridotte a discariche, tantissime persone comuni hanno detto “basta”. Hanno iniziato a riempire la borraccia con l’acqua di rubinetto, ad acquistare i prodotti sfusi, a portare con sé una borsa in tela quando vanno al supermercato.
Il packaging infatti va considerato come il nemico numero uno, perché rappresenta il 40% di tutta la plastica prodotta nel mondo. Ma le grandi multinazionali, quelle che mettono in commercio gran parte di questi prodotti infarciti di plastica, stanno facendo la loro parte? Sulla carta, i loro impegni sono solenni e rivoluzionari. Nei fatti, però, le loro soluzioni sono largamente insufficienti.
Il duro j’accuse arriva da un nuovo report di Greenpace, intitolato “Il Pianeta usa e getta. Le false soluzioni delle multinazionali alla crisi dell’inquinamento da plastica” (il testo completo è solo in inglese, ma si può consultare anche una sintesi in italiano).
False soluzioni: la carta
Aziende come McDonald’s e Nestlè pubblicizzano con orgoglio la loro scelta di sostituire parzialmente la plastica con la carta.
Secondo il report di Greenpeace, però, così facendo si rischia di perdere di vista il fatto che produrre più carta significa abbattere più alberi, fondamentali per la biodiversità e per la lotta al riscaldamento globale. Certo, esiste il sistema di riciclo, ma a livello globale non riesce ancora a coprire l’impennata della domanda di packaging in carta.
False soluzioni: le “bioplastiche”
Secondo il report di Greenpeace, è bene diffidare anche dalle confezioni realizzate con le cosiddette plastiche “eco”, “bio” o “green”, perché:
> le tecnologie attuali spesso impongono di usarle insieme alla plastica tradizionale;
> molte plastiche a base biologica derivano da colture agricole, entrando quindi in competizione con la produzione di cibo. L’agricoltura, per giunta, contribuisce alle emissioni di gas serra;
> i prodotti biodegradabili si decompongono soltanto a determinate condizioni di temperatura e umidità, quindi in ogni caso non vanno dispersi nell’ambiente;
> allo stesso modo, la plastica compostabile dev’essere inserita negli appositi impianti, che non sono ancora diffusi in tutto il mondo.
False soluzioni: il riciclo
È vero, in tutte le nostre città esiste la raccolta differenziata, spesso obbligatoria. Ma è vero anche che il 90% di tutta la plastica prodotta dagli anni Cinquanta in poi non è stata mai riciclata.
Anche nella nostra Europa, che indiscutibilmente è la punta di diamante planetaria a livello di politiche ambientali, nel 2016 è stato riciclato soltanto il 31% dei rifiuti in plastica raccolti. Com’è possibile? È una questione di costi, di tecnologie e di corrette pratiche d’uso.
Alcuni limiti del riciclo meccanico dovrebbero essere superati dal riciclo chimico, le cui tecnologie sono però ancora in fase di sviluppo. Inoltre, avverte il report di Greenpeace, “ci sono ancora pesanti preoccupazioni riguardo le sostanze chimiche pericolose (principalmente solventi) utilizzate per ‘purificare’ la plastica, l’uso intensivo di energia e la necessità di costruire infrastrutture costose per realizzare gli impianti”.
Come salvare il Pianeta soffocato dalla plastica
Ciò significa che siamo del tutto impotenti e dobbiamo rassegnarci a vivere in un territorio soffocato dalla plastica? Tutt’altro. Secondo l’associazione ambientalista le soluzioni esistono, ma sono ben diverse rispetto a quelle propagandate dal marketing.
Le grandi multinazionali devono ridurre subito la produzione di plastica monouso, “investendo in soluzioni alternative basate sul riutilizzo e sulla ricarica che non prevedano il ricorso ad altri imballaggi usa e getta, indipendentemente dal tipo di materiale”.
Il che significa eliminare tutto quel packaging che non è strettamente funzionale alla conservazione del prodotto e, quando possibile, introdurre sistemi di consegna basati sullo sfuso e sulla ricarica.