"Smettere di lavorare", intervista a Francesco Narmenni
Fino a qualche anno fa, Francesco Narmenni faceva il programmatore. Poi ha deciso di cambiare vita, ha smesso di lavorare e ora aiuta gli altri a fare lo stesso, liberandosi dal superfluo e sostentandosi con poco. L'abbiamo intervistato.
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©Francesco Narmenni
Fino a qualche anno fa, Francesco Narmenni faceva il programmatore informatico. Dopodiché ha capito che non era quella la vita che voleva. Una vita piegata ai ritmi dell’ufficio, distanti anni luce dalla vera felicità; tutto questo per guadagnare uno stipendio da spendere in cose di cui, in fin dei conti, non sentiva di avere veramente bisogno. Così, si è licenziato e ha deciso di voltare pagina. Ora gestisce un blog (smetteredilavorare.it) e un canale YouTube ed è autore di diversi libri. Tagliando il superfluo e autoproducendo l’energia e il cibo di cui ha bisogno, riesce a sostentarsi senza lavorare. L’abbiamo intervistato.
Da quanto tempo hai adottato questo stile di vita?
Il percorso di cambiamento è iniziato dieci anni fa, nel 2011, ma nel 2015 mi sono licenziato e ho iniziato a vivere di autoproduzione, facendo anche lo youtuber e lo scrittore. Guadagno molto poco ma mi basta, perché vivo con molto poco.
Hai mai incontrato persone o famiglie che hanno fatto la tua stessa scelta?
Sì, soprattutto nei miei viaggi. Da quattro anni giro tra Italia e Spagna a bordo di un vecchio furgone Volkswagen California, dormendo non tanto nei campeggi quanto nei parcheggi e per strada. Ho incontrato tantissime persone che hanno fatto questa scelta. Per la maggior parte sono single o coppie, ma c’è anche qualche famiglia.
Finché si vive immersi nella società “normale” è difficile rendersi conto di quante siano. Molte altre mi hanno scritto in questi anni per chiedermi consigli: spesso sono persone che hanno lasciato la città, trovando il modo di lavorare online o in un piccolo centro. Hanno ridotto i loro bisogni, cosa che in campagna è più semplice: qualcuno è diventato indipendente energeticamente, qualcun altro ha iniziato a produrre il cibo, qualcuno alleva animali. Poi ci sono i nomadi digitali, cioè i ragazzi che hanno scelto una località economica (come Bali o le Canarie) dove lavorare online.
Ci sono anche famiglie, quindi?
Quando si ha una famiglia è più complicato, sia per una questione di valori, sia perché ci si domanda se i propri figli avranno meno rispetto agli altri. Io sento lo scontro generazionale con i miei figli, perché vanno regolarmente a scuola e capiscono di avere uno stile di vita differenti. Ma il mio tenere duro, ne sono convinto, a loro servirà.
Insomma, di famiglie ne ho incontrate poche, anche perché questo richiede una pianificazione di entrate e uscite molto più attenta. Magari tuo figlio vuole una bici nuova e tu la devi comprare di seconda mano, per poi ripingerla e così via. Però di famiglie ce ne sono, di alcune sono diventato amico. Facendo questa vita, piano piano di si allontana da chi è più legato al consumismo – anche perché non si frequentano gli stessi posti – e ci si avvicina a persone più simili al proprio modo di pensare.
La pandemia ha motivato le persone a cambiare vita?
C’è sempre stato uno zoccolo di persone intenzionate a fare questa vita, ma era più piccolo. Al momento delle riaperture dopo il lockdown, tanti si sono resi conto del fatto che fa bene non andare tutti i giorni in ufficio e non dover sottostare a regole e ordini. Quindi hanno cercato una scappatoia: alcuni hanno semplicemente cambiato lavoro, altri hanno capito che si poteva vivere anche con molto meno, evitando le spese superflue.
Credi che sia possibile fare una vita come la tua anche in città, considerati i costi della casa e dei beni di base?
È molto difficile; il primo passo di solito è proprio quello di allontanarsi dai grandi centri, perché sono molto cari. Per vivere con poco, spesso si ha bisogno di coltivare un orto, tagliare legna nel bosco, installare un impianto fotovoltaico oppure il solare termico per riscaldare l’acqua con cui lavarsi. La chiave, insomma, è quella di ridurre le spese.
Farlo in città è complicato, perché qualsiasi attività corrisponde a un costo. Se vivi in un paesino, per trascorrere un pomeriggio puoi fare una passeggiata al lago o andare a correre nel bosco: è gratis e ti gratifica. Dopodiché puoi comprare frutta e verdura dal contadino o attraverso un gruppo di acquisto solidale. Ma è soprattutto una questione di mentalità, perché è proprio l’ambiente cittadino, con i suoi locali e le sue vetrine, che invoglia a spendere.
Questa riduzione degli sprechi ha molto a che vedere con il concetto di sostenibilità. Cosa ne pensi del fatto che stia diventando sempre più popolare?
La sostenibilità è un tema ormai fondamentale. Sappiamo bene che avremo grossi problemi con il clima, legati alla sovrapproduzione e al sovraconsumo. Invito sempre le persone a farsi una domanda: il tuo lavoro è indispensabile? Se non lo è, stai consumando e producendo qualcosa che non serve quasi a niente e a nessuno ma rende comunque insostenibile la nostra presenza sulla Terra. Non sarebbe meglio se cambiassi il tuo stile di vita per fare un lavoro più semplice?
Abbiamo tutti quest’idea di dover far girare l’economia, sembra quasi che tutto sia destinato ad andare a rotoli se non lavoriamo. Innanzitutto, in Italia il 40% della popolazione lavora. Poi, la gran parte dei nostri lavori sono inutili – se non dannosi – per la società e l’ambiente. Dovremmo tornare a occuparci di cose più semplici, per ridurre il nostro impatto acquistando meno.
Desiderare meno e consumare meno è addirittura più importante rispetto a consumare in modo sostenibile. Non c’è biologico che tenga, se si compra troppo cibo e poi lo si butta via.
In sintesi, cosa c'è di sbagliato nel mondo del lavoro così come l'abbiamo concepito finora?
Ci hanno sempre insegnato che l’unico modo di vivere è studiare e trovarsi un lavoro, uno qualsiasi, senza porsi delle domande. Ma questo ti rende un infelice, perché ti trovi a svolgere un’attività che detesti, rinchiuso in ufficio con persone che non hai scelto, seguendo ritmi insostenibili. Magari fai pure qualcosa che è deleterio per gli altri; pensiamo alla filiera del tabacco o delle armi. Il tuo lavoro fa del bene o del male agli altri? Bisogna porsi queste domande, perché quella di lavorare pur di lavorare non è una scelta giusta. Piuttosto, ha più senso lavorare meno, fare ricorso all’autoproduzione, abbassare il proprio impatto e consumare lo stretto necessario.