Viaggio nella fotografia etica a Lodi, un riflesso di ciò che siamo
Si è appena concluso anche quest'anno nella sua settima edizione, Il Festival della Foto Etica è una rassegna speciale che fa di Lodi pluripremiata capitale della fotografia, ecco cosa c'è stato
Quando si va al Festival della Foto etica di Lodi si va sicuri di una cosa: di tornarne arricchiti.
Arricchiti per le cose nuove che si conoscono - mettendo a tacere la presunzione di sapere ed essere sempre aggiornati su tutto grazie al dio Internet -, arricchiti di emozioni contrastanti, arricchiti per ciò che nella memoria scatenano le immagini, arricchiti grazie anche a una passeggiata in città storica, una città che forse, sì, vive in sordina, ma che per l'occasione si veste di nuovo e non dimentica la sua forza, facendo rivivere vecchie chiese, valorizzando i suoi antichi palazzi, i vicoli e i caffè letterari. E ci si va a Lodi anche con la curiosità del fotogafo dilettante e con l'amore per i veri cantastorie e le rassegne che fanno parlare di sè.
Anche questa settima edizone del giovane Festival, tra signore bene tacco dodici di vello di pelliccia vestite e ragazzotti verdi militare con il dilatatore all'orecchio, di persone ne ha viste transitare. Bracciale al polso dunque, pronti per seguire, a posteriori, immagini e racconti.
La rassegna dei popoli
Il primo nucleo espositivo
Si comincia dal centro, da piazza della Vittoria e Piazza del Broletto, e da qui si prosegue per corso Umberto, dove si trovano i primi tre luoghi del Festival: la Biblioteca Laudense e le due ex chiese di San Cristoforo e dell'Angelo. Nel primo si incontra uno special Spazio Ong incentrato sui guardiani della foresta, che per voce di Survival International e per mano di Claudia Andujar racconta della minacciata tribù Yanomami di Venezuela e Brasile. Impressionante è sempre il rimando su un'attualità altra, quello che si osserva nella prima grande chiesa sconsacrata: il terribile livello di vita di Norilsk, una cittadina al limite del circolo polare artico russo, situata nel Territorio di Krasnojarsk, nella Siberia settentrionale.
Qui è proprio la fotografa Elena Chernyshova che con "Days of Night" e i suoi scorci ci lascia senza parole. Non sono da meno peso gli altri autori, che narrano storie di indiani nelle riserve americane, di Saint Denis, la Suburbia periferica di Parigi e per finire ancora rimandi al KuKlux Klan di un'America ridicola e inspiegabile.
Il secondo nucleo espositivo
Si snoda tra l'archivio storico e il Collegio San Francesco, dove si viaggia in Libano con la fotografa Laura Aggio Caldon, al seguito del milione di profughi siriani, per la maggioranza bambini, spesso sfruttati in forme di lavoro minorile. Presso il collegio siamo sempre in Russia, questa volta con il fotografo Dmitrij Leltschuk, che ci parla del popolo dei Komi e delle sue condizioni di vita, minacciate dal petrolio, che vivono tra nuove perforazioni e oleodotti e pozzi abbandonati nella parte settentrionale della Russia.
Il terzo nucleo espositivo
Terzo e ultimo nucleo espositivo finale quello che scende verso i corsi Vittorio Emanuele e corso Roma, presso Palazzo Modignani e Palazzo Barni. Nel primo scopriamo il "favoloso" mondo dei paradisi fiscali e dell'altra faccia della politica americana: "Sto usando la mia macchina fotografica per aprire un varco su questa messa in scena e svelare la nuda e cruda ambizione per il potere", seguendo le parole dello stesso fotografo Mark Peterson.
Lo sguardo si sposta poi sui lavori commoventi e forti di Wenmann e Liohn che parlano del nuovo sonno, per nulla ristoratore, dei bambini scampati ai bombardamenti in Siria, il primo, e della città di Revogo, in Brasile, con tutto il suo carico di violenza.
A Palazzo Barni scoviamo la foto che illustra questo festival sin dalla copertina nell'opera di Sadegh Souri, "Waiting girls", che racconta della segregazione carceraria femminile in Iran. Qui anche i lavori di Daniels, Comello, Arcenillas, El Maktafi e Liverani che spaziano dalle dure condizioni di vita e di lavoro nella Repubblica Centro Africana, alle violenze della società Honduregna, alla Russia iper-cattolica e a quella degli anniversari di rappresentanza e delle parate militari, sino ad arrivare al popolo degli Ainu, liberatosi dopo centinaia di anni dalla giapponesizzazione forzata.
Ultimo, ma se si ha il tempo, da non perdere, la fitta rete di esposizioni collaterali, ha regalato, disseminata tra caffè letterari, bar e librerie, emozioni viaggiando da Berlino a Belfast, dal Laos al Bangladesh, toccando tematiche sempre all'ordine del giorno come la condizione del pianeta, la situazione delle donne oggi, lo sport e le disabilità.
Per approfondire
> Vai al sito del Festival della Foto etica di Lodi
Immagine | Di Gabriele Zuffetti