Intervista

Tra astri e asanas

"Osservare e ascoltare, questa è la chiave della trasformazione" ce lo spiega Enrico Petrella, insegnante di yoga, autore, traduttore e profondo conoscitore del sapere astrologico

Tra astri e asanas

Enrico Petrella ha un’attitudine calma verso la vita e te ne accorgi subito. Sorridente, anche. Idealmente, queste caratteristiche dovrebbero appartenere agli insegnanti di pratiche psicofisiche, se non altro perché possano trasmettere integrità agli allievi. Ma non è sempre così. Spesso l'insegnante è incentrato su se stesso, fino ad allontanarsi dall'essenza. 

Enrico è insegnante di yoga e autore di "Verso lo yoga" (Mursia), "Il benessere della colonna vertebrale" (Età dell'Acquario). E' partito dagli astri ed è approdato alle asanas. Gli asana - mi ha spiegato sarebbe più corretto scrivere - in quanto il termine è considerato di genere maschile dagli studiosi di lingua sanscrita, e la esse finale per il plurale è dovuta all’influenza della lingua inglese, grazie alla quale queste pratiche sono state conosciute in occidente. 

 

Come hai iniziato lo yoga? 

Ho cominciato a 20 anni, con quello che potremmo definire Raja Yoga; in quel periodo avevo iniziato con l'astrologia come strumento di ricerca interiore poi lo yoga è servito per portare questa ricerca anche sul versante fisico, sul piano del corpo. La pratica dava un equilibrio anche alla componente mentale dell'astrologia. 

 

Perché hai scritto un testo specifico proprio sulla colonna vertebrale? 

E' stata una scelta condivisa con la casa editrice, Lindau (Età dell'Acquario). La scelta editoriale era ricaduta su manuali con un tema specifico e quindi si è pensato che la colonna vertebrale fosse un argomento di interesse abbastanza generale. Anche chi non pratica yoga, infatti, si trova a voler conoscere esercizi che possano rivelarsi utili per gestire patologie come il mal di schiena

Il risultato finale è quello di un manuale molto pratico, che consente di fare esercizi anche a chi è autodidatta, essendo molto semplici da eseguire (si possono fare pure in casa). Comunque, a chi vuole approfondire suggerisco sempre di farsi guidare; conviene appoggiarsi a un insegnante. Il manuale può essere una modalità per avviarsi autonomamente alla pratica. 

 

Quando sei diventato insegnante yoga? 

Ho fatto un corso di formazione e mi sono diplomato nel 2000. Ho poi insegnato continuativamente per circa 5 o 6 anni. Tra gli allievi ho avuto persone delle fasce d'età più varie; ho insegnato uno yoga specifico per adolescenti, anche adolescenti disabili (disabilità di tipo mentale e fisico).

Un'esperienza davvero importante è stato lo yoga per tossicodipendenti che ho svolto in forma di volontariato. In molti contesti mi sono anche trovato a gestire classi con una massiccia presenza di persone in età avanzata ed è stato importante. 

 

In che modo si lavora sulla dipendenza con lo yoga?  

Guarda, io lavoravo in un centro di accoglienza insieme a persone che erano appena uscite dalla piena dipendenza o ne erano ancora dentro ma con la volontà di uscirne. Io facevo quel che potevo... sai, hai a che fare con una mancanza di attenzione praticamente costante. Inoltre, di fronte a casi tanto differenti, è difficile fare un discorso collettivo unitario.

Prendi il caso dell'eroinomane: di base la sua tendenza è quella di addormentarsi. Completamente diverso è il discorso per quanto concerne il cocainomane, la cui energia non è facilmente gestibile o contenibile. Era impossibile fare una pianificazione, bisognava stare molto nel presente. Non si riusciva a sviluppare un discorso uniforme, il vero beneficio era riuscire a farli stare nel loro corpo per un'ora consecutiva.  

 

Avevi particolari accorgimenti verso di loro a livello della pratica? 

Sì, per esempio facevo particolare attenzione alle posizioni che chiamano in causa il fegato, come i piegamenti. 

 

Hai lavorato anche con altre "categorie difficili"? 

Sì, con persone con disabilità sia motorie che mentali, erano classi miste. In questo ambito la psicoterapia è appoggiata alla pratica sul corpo. Anche in questo caso si beneficiava dei vantaggi del gruppo ma anche degli svantaggi, si perdeva un po' la specificità individuale.  

 

Come ovviavi un po' a questa difficoltà che accomuna molti insegnanti di yoga?  

In questo mi è tornato molto utile il percorso che ho fatto io, che ha una qualità piuttosto interiore. A quel punto, quando il tuo sguardo è rivolto verso l'interno ed è così che hai appreso lo yoga, finisci col dare meno enfasi al tipo di tecniche; diventa importante come la persona le vive. Anche se assegno esercizi comuni, suggerisco sempre di gestirli personalmente.  

 

Hai mai pensato di unire la tua conoscenza degli astri allo yoga, strutturando delle pratiche che calzassero bene sulla persona in base al segno e all'ascendente, ad esempio? 

Si individuano molti aspetti della persona attraverso il tema astrale. Ho avuto modo di sperimentarlo presso il Casale in Lunigiana, dove abbiamo organizzato sedute yoga e, unitamente, ho fatto ai presenti la carta del cielo. E' stato molto interessante e si tratta di qualcosa che è parte integrante della mia esperienza iniziale.  

 

Vari mai le lezioni in base ai transiti astrali? 

Siamo sempre stimolati dai transiti, se c'è qualche influsso che dinamizza, può accadere che venga naturale dinamizzare gli esercizi, ma non ho mai coscientemente messo insieme i due aspetti pianificando in base ai transiti.  

 

Hai tradotto "La saggezza ritrovata. La filosofia come terapia." (Mursia), testo di Mónica Cavallé. Mi hai spiegato che il processo di traduzione è stato un flusso spontaneo, naturale. Sapresti indicarci in che senso la filosofia può esser terapia secondo l'autrice?  

C'è stata in me una risonanza immediata con questo testo.

Le conoscenze psicologiche che ho, derivano dall'astrologia e sono confluite nello yoga, insieme a un approfondimento delle teorie psicologiche occidentali. La nostra tradizione filosofica è stata inaridita da alcune scelte che han portato la filosofia a qualcosa di sclerotizzato, per questo si tratta di riprenderne il senso portante.   

Il passaggio fondamentale che l'autrice affronta è il collegamento con se stessi. Non si tratta di aderire a un apparato filosofico o a un sistema religioso ciecamente, il punto non è prenderle come entità staccate da se stessi. La conoscenza è ciò che riconosci come parte di te; quando si attua questo passaggio cade anche quel senso di astratto, di sterile. 

Mentre traducevo questo libro non stavo insegnando, però mi è servito molto; non ho trovato cose nuove in assoluto, erano argomenti che già abitavano in me, però quando una scrittrice abile te le sa ricucire insieme in modo profondo e intelligente è sicuramente utile. Ed è andata così: leggevo e traducevo, un flusso, esattamente.  

 

Perché si parla di saggezza? 

L'aggancio che manca, come dicevo, è quello con te. E quindi si propone un ritorno alle origini. Il termine che l'autrice usa è saggezza, non filosofia, e la saggezza perenne è quella che noi abbiamo riscoperto andando a cercare, ad esempio, nella spiritualità orientale oppure nello sciamanesimo sopravvissuto presso i nativi americani, africani, australiani...

La nostra tradizione è diventata esoterica, perché è stata nascosta. In realtà se osserviamo più da vicino dietro al cristianesimo troviamo lo gnosticismo perseguitato, dietro l'islam il sufismo, il taoismo nel caso del confucianesimo. Queste tradizioni son state occultate. Prendi anche lo sciamanesimo siberiano; in Russia il comunismo ateo ha cercato di cancellare lo sciamanesimo siberiano.  

 

Dimmi, con la tua saggezza, di cosa credi ci sia necessità ora come ora, in termini micro e macrocosmici?  

Di liberare le proprie potenzialità: i talenti, uscendo da certi schemi soffocanti e che, tra l'altro, si stanno rompendo da soli. Ci vuole un po' di coraggio, un po' di spinta per riuscire ad andare al di là. L'insegnamento che si può trarre dallo yoga è quello di vedere il limite e stare nel limite; quando lo hai conosciuto nel silenzio della tua interiorità, esso cade, ma prima è necessario vederlo. 

Non si deve forzare.

Nella pratica è lo stesso, se il corpo suggerisce di fermarsi, la mente obbedisce alla competizione, ci si spinge in un luogo dove la pratica diventa dolorosa, scomoda. Osservare e ascoltare, questa è la chiave della trasformazione. Ci si ferma, si sente la tensione, la si assaggia con il respiro e ci si torna successivamente. Fuori dal controllo mentale, il corpo si scioglie da solo. 

 

Al momento stai insegnando? 

No, ho voluto prendermi del tempo anche per evitare di vincolare la pratica al denaro. Il mio interesse verte ora sul Pranayama (la disciplina del respiro) e sullo Yoga Nidra (il sonno consapevole), cioè la pratica che si sviluppa a partire dal rilassamento guidato. 

 

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Immagine | Età dell'Acquario