Cucina etnica: mangiare sushi senza sorprese
Mangiare sushi è tradizione che appartiene alla cucina etnica dei monaci buddhisti. Il pesce crudo può però nascondere un parassita insidioso, l'Anisakis, che attacca l'intestino. Scopriamo come difenderci
Immaginate di entrare in un vero sushi bar, di quelli originali i cui menù sono rigorosamente fedeli alla tradizione giapponese e non includono piatti cinesi o thailandesi.
Ecco, all’ingresso verrete accolti da un grido ilare che suona più o meno così: irasshaimase!!! È il modo in cui i ristoratori giapponesi danno il benvenuto ai loro clienti, che aspettano solo di mangiare sushi.
A seguire, una vetrata cromaticamente impeccabile dove sono esposte verdure e pesce crudo, banco di prova della freschezza degli alimenti che vi accingete a mangiare.
Un’immagine impeccabile, idilliaca. Eppure c’è qualcosa che può guastarla, un’insidia contenuta nel sushi che si chiama Anisakis, parassita che infesta i prodotti da pesca e contamina l’uomo una volta giunto nell’intestino.
Identikit dell’Anisakis
L’Anisakis è un parassita nematode, ovvero un verme filiforme a sezione circolare che si moltiplica mediante uova. La larva che deriva dall’uovo viene ingerita da un ospite e si sviluppa nell’intestino di pesci e mammiferi marini. L’uomo può contrarre le forme larvali del parassita alimentandosi con pesci a sua volta infettati.
L’uomo è un cosiddetto “ospite accidentale” perché generalmente il parassita muore nel nostro apparato digerente senza poter completare il ciclo vitale. Nell’uomo è responsabile di sintomi gastrici o intestinali come febbre, dolori addominali, diarrea, nausea, vomito e, in casi particolarmente gravi, perforazione di stomaco e intestino.
Il parassita è presente in buona parte delle specie ittiche, come ha dimostrato una ricerca del 2005 firmata dalla facoltà di Medicina veterinaria di Bari e pubblicata sul mensile Industrie Alimentari. Può infestare il 70% dei tipi di pesce, in particolare, oltre a tonni, salmoni e spigole, ingredienti base della cucina giapponese, anche sgombri, merluzzi, alici, aringhe mangiate crude e i piatti marinati, perché l’aceto e il limone non devitalizzano i parassiti.
Come difendersi dall’Anisakis
E dunque? Dobbiamo rinunciare al sushi?
No, per carità. Pesce crudo sì, ma obbligatoriamente surgelato, dal momento che il parassita è sensibile al congelamento continuato per almeno 20 ore. Dunque il pesce andrebbe eviscerato subito dopo la cattura ma nel caso di alimenti che vengono venduti ancora con il pacchetto intestinale (è il caso di acciughe e triglie, per esempio), ricordate di congelarlo per almeno 24 ore prima di procedere alla preparazione.
Tenete presente che l’affumicatura e la marinatura non sono in grado di distruggere le larve di Anisakis: la marinatura elimina le larve dopo 4 settimane se la concentrazione salina raggiunge almeno il 6% e l’acido acetico il 4%; nell’affumicatura la devitalizzazione è completa solo se si raggiunge una temperatura di circa 60°C.
Il sushi, l’Anisakis e il legislatore
Il congelamento del pesce è un obbligo cui i venditori sono vincolati, secondo quanto previsto dall’apposito regolamento europeo (CE 853/04). Il regolamento segue le cinquanta notifiche di riscontri di Anisakis in prodotti di pesca, importati soprattutto da Regno Unito e Paesi Scandinavi, che il Dipartimento generale della Salute aveva ricevuto nel 2004. Eppure un test condotto da Altroconsumo sul sushi servito nei ristoranti ha scoperto che su 19 esercizi di Milano e Roma solo 3 congelano il pesce (prima o dopo la preparazione degli squisiti bocconcini colorati).
Noi intanto preoccupiamoci di mettere il pesce nel freezer e seguiamo il lento percorso verso l’obbligatorietà delle misure di garanzia nell’ambito della ristorazione pubblica.
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