Il pianto dei bambini, un linguaggio complesso
Il pianto è il modo principale che il neonato ha per esprimersi: è il suo linguaggio. Quello stesso pianto è per gli adulti una lingua straniera, una terra sconosciuta da esplorare, un universo pieno di insidie, una fonte di stress. Interpretare il pianto dei neonati e sintonizzarsi con ascolto consapevole è un compito complicato ma vale la pena provarci, con impegno e tanta tanta pazienza
Il pianto dei bambini: un linguaggio complicato
I neonati piangono: lo sappiamo tutti. Quello su cui spesso abbiamo dubbi è come comportarci di fronte al pianto insistente e inconsolabile. Per molti genitori il pianto del proprio bambino è insopportabile, è come un pugno che colpisce forte e dritto nello stomaco. Qualcuno prova a ignorarlo (e forse ci riesce pure) nel dubbio letale che si può riassumere con una domanda: “E se poi prende il vizio?”.
Ma, armandosi di coraggio e togliendo di mezzo dubbi comprensibili, che cosa bisogna fare di fronte al pianto dei bambini?
Il tempo che i neonati passano a piangere è molto variabile, da neonato a neonato, e anche nello stesso bambino, di settimana in settimana; può quindi succedere che lattanti che avevano pianto pochissimo nelle prime settimane di vita improvvisamente attraversano un periodo in cui strillano di continuo.
I bebé, quando piangono, hanno una ragione per farlo: hanno fame, freddo, dolore, sono in una posizione scomoda, hanno bisogno di conforto, si sentono soli o semplicemente avvertono una sensazione generale di malessere. Purtroppo, interpretare e comprendere il motivo specifico che spinge al pianto non è semplice e soprattutto non ci sono regole universalmente valide che aiutano i genitori a capire.
Si può, però, imparare ad ascoltare: vivendo a stretto contatto con il proprio neonato, infatti, il genitore o chi se ne prende cura impara, pian piano, a distinguere e quindi a interpretare i messaggi che ci sono dietro a ogni diverso tipo di pianto. La ricerca ha dimostrato che al terzo giorno di vita i genitori sono già in grado di distinguere il pianto del proprio figlio da quello di altri neonati e che verso la fine della seconda settimana riescono a distinguerne i diversi tipi di pianto.
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Quando il pianto dei bambini è inconsolabile
Quando un neonato piange e strilla disperato e sembra non voler accettare il conforto dell’adulto, quest’ultimo può provare uno stress fortissimo e può avere l’impulso di allontanarsi e di fuggire per non sentire più quel pianto. In queste occasioni è possibile che il neonato avverta la frustrazione – comprensibile – dell’adulto e che ciò accentui la sua sensazione di malessere e di conseguenza il suo pianto. Se poi l’adulto ha l’impulso di parlare al piccolo o a quanti sono intorno con tono di voce irritato e acuto la situazione tende a peggiorare ulteriormente. È come un cane che si morde la coda.
È stato dimostrato che certi pianti suscitano nei genitori o nell’adulto che accudisce il bambino reazioni fisiologiche identiche a quelle che si manifestano quando si deve affrontare un’emergenza: aumento della pressione arteriosa, aumento dell’adrenalina, maggiore apporto di ossigeno al cervello.
In queste occasioni più che concentrarsi sul pianto dei bambini bisognerebbe fare uno sforzo e un esercizio su se stessi. Controllare le proprie emozioni davanti al pianto insistente di un neonato non è semplice ma è necessario. Si può provare con un esercizio che porta a rilassarsi e cioè rallentando e controllando la respirazione; sembra banale, ma può aiutare davvero. Si può provare a respirare lentamente concentrandosi sulla respirazione e spostandola dal petto al diaframma: è un sistema per ridurre la tensione e riprendere il controllo di se stessi. Una volta recuperato il controllo delle proprie emozioni, si può prendere in braccio il neonato e provare a parlargli con voce pacata e serena, coccolandolo. Farsi prendere dal nervosismo non serve a niente, anzi è controproducente.
Il modo in cui affrontiamo i sentimenti suscitati dal pianto del nostro bambino influenzerà il suo modo di gestire le emozioni. È una grossa responsabilità a cui non ci si deve sottrarre; forse il modo migliore per agire è procedere per tentativi ed errori cercando di fare quello che possiamo per consolarlo. A volte il bambino ha bisogno di qualcosa che siamo in grado di dargli subito: la pappa, un pannolino pulito, una coperta … in quel caso bisognerà procedere per tentativi e, tutto sommato, sarà semplice trovare una soluzione. Altre volte avrà bisogno di sfogarsi e di esprimere il proprio malessere; in questi casi è più complicato; in questi casi imparare a controllare il proprio disagio è il primo fondamentale passo per aiutare il neonato a controllare il suo.
Consolare un bambino che piange non è viziarlo; ascoltarlo in maniera empatica è un compito difficile ma è un modo per farlo sentire amato e quindi per rassicurarlo. Profondamente. È un modo per aiutarlo a diventare un adulto sicuro di sé e in grado di esprimere le proprie emozioni, anche quelle negative.
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Libro consigliato
E se poi prende il vizio?, di Alessandra Bortolotti