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La gestione delle emozioni nel tai chi

Il tai chi può essere uno strumento per la gestione delle emozioni? Per calibrare i giorni dell’esistenza ovvero le sinfonie di quella musica che è la vita? Entriamo nel mare caldo delle emozioni usando una zattera nera e bianca che somiglia al Tao, simbolo padre e madre dell’arte marziale dolce cinese

La gestione delle emozioni nel tai chi

Che cosa sono le emozioni? Un grande maestro mi ha indicato: “Se sintetizziamo possiamo pensare allo schieramento rappresentato dal mi piace/non mi piace, mi è simpatico/non mi è simpatico. Quindi l’emozione non è altro che il campo del più e del meno.”

L’espressione di una preferenza come si lega al fare e al dire? Il dire è strettamente connesso alla sfera emotiva, come è intuibile. Dico di te che sei una o un opportunista; di fatto sto maledicendo, dicendo male.

Maledico anche quando nella comunicazione divento incomprensibile o mi metto in bocca cose di cui non so nulla. Cosa produce in me questa maldicenza? Disarmonia. In presenza di emozioni che prendono il sopravvento, il mare è mosso e la deriva è quella che confina al rancore, alla chiusura, all’amarezza, alla nostalgia.

Differente è il caso in cui la vicinanza con una persona crea una data sensazione, la osservo, la registro, mi astengo dal maledire. Risultato? Il mare non si è increspato. Tutto rimane utile. Ogni momento è un’occasione.

 

Il tai chi e l’armonia interiore

Avercela con qualcuno non è tanto diverso dal vedere il mondo come sempre carente di qualcosa. Possiamo dirigere queste, che chiameremo emozioni negative, tanto verso l’interno quanto puntando l’indice fuori, fa lo stesso.

Chi si accinge a praticare il tai chi o inizia a subirne il fascino, vede dei movimenti che hanno una caratteristica: l’armonia.

Personalmente, il percorso è ancora tutto da definire, nonostante l’esperienza di dieci anni in questa disciplina affiancata allo yoga taoista. Perché? Perché la mente illusoria ci mette un attimo. Si imbelletta con gesti fluidi, pratiche interne, filosofia orientale. Ma queste possono essere tutte toppe. Specie se attecchiscono su una mente poco addestrata cui si unisce una predisposizione al travolgimento anomalo di onde emotive.

In altri casi, su un persona predisposta alla rabbia, l’arte marziale ci mette un attimo a diventare sfoggio, esibizione di falsa potenza, debolezza mascherata.

Il tempo della forma, dell’apprendimento della tecnica, del qi gong (esercizi energetici cinesi), dello studio approfondito di una sequenza, delle applicazioni marziali è tempo che serve alla vita, al lavoro. Il tai chi, come la meditazione e le pratiche di respirazione, serve per rendere la mente acuta.

Se le ore dedicate alla pratica di questa arte marziale vengono scambiate per qualcosa che già di per sé prepara all’esistenza, non ci siamo. Il lavoro di osservazione avviene di respiro in respiro, quando si è in coda alle poste, quando si cambia la qualità e la direzione di una relazione umana che non è più nutriente, quando si sceglie, si mangia, nei respiri e nei pensieri che precedono il sonno.

Il tai chi, come molte altri, è uno strumento. Un mezzo. Non è facendo tai chi che si governa l’ansia, ma è facendo tai chi che si conosce meglio se stessi. Approcciando qualcosa di così fluido e ritmico, si familiarizza con la consapevolezza del proprio equilibrio. L’armonia tra il corpo e lo spirito non è una promessa che un maestro di tai chi chuan può fare all’allievo. 

 

Le emozioni negative e il cambiamento

Quanto è difficile, quando si prende una direzione, virare verso un’altra? Siamo in un dialogo o una situazione, nasce in noi una reazione (che sembra spontanea invece è solo meccanica), quanto sforzo ci vuole per tornare al respiro e astenersi? 

La rabbia quando arriva, ci rode gli organi interni. La paura ci contorce il corpo, modifica la voce, il battito. L’ansia ci rende scattosi, ci sradica. Trasformare vuol dire evolversi.

Non si resiste. “Noi attiriamo questa forza e la deviamo, facendola dissolvere nel nulla, così che il suo effetto vada completamente perduto.” Cheng Man-ch’ing in questo passo dei “Tredici Capitoli sul T’ai-Chi Ch’uan” sta parlando della dispersione della forza dell’avversario.

Ed è una frase perfettamente adattabile alla gestione del mondo interiore.