Se anche il bene del Pianeta diventa un business
La società di consulenza McKinsey e il World Economic Forum esplorano in un documento il ruolo che le soluzioni climatiche naturali possono svolgere nell'aiutare ad affrontare il cambiamento climatico e la distruzione della natura.
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Mentre il mondo tenta di gettare lo sguardo oltre la pandemia COVID-19, sta emergendo una visione comune: l’arresto delle emissioni di gas serra in atmosfera è fondamentale per la ripresa economica globale.
Crisi climatica e perdita della natura
Una consapevolezza che sta anche crescendo intorno all'urgente necessità di rallentare la distruzione del mondo naturale, e sta diventando chiaro che le due crisi ambientali - quella climatica e la perdita della natura - sono inestricabilmente collegate e si aggravano a vicenda.
Per questo, le Natural climate solutions (NCS), tra le quali le azioni di conservazione, ripristino e gestione del territorio che aumentano lo stoccaggio del carbonio ed evitano le emissioni di gas serra, offrono un approccio per affrontare entrambe le crisi e aumentare la resilienza al mutare del clima.
Compensare investendo nel capitale naturale
Come sostenuto in un nuovo documento prodotto da McKinsey, in collaborazione con il World Economic Forum, non si possono mitigare gli effetti nefasti del clima che cambia senza investire nel capitale naturale.
L'azione per il clima richiede sia la riduzione delle emissioni che la rimozione dell'anidride carbonica già presente nell'atmosfera. Le NCS includono strumenti per raggiungere entrambi gli scopi.
L'impegno del settore privato sta guadagnando slancio, con sempre più aziende che adottano strategie volte a raggiungere le emissioni nette zero.
Inoltre, alcune si impegnano a investire nella natura attraverso l'acquisto di crediti di carbonio generati da NCS (le "compensazioni").
Oltre 700 delle più grandi aziende del mondo si sono già impegnate ad acquistare crediti per 200 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. Alcune di queste stanno pure iniziando a impegnarsi per la biodiversità e l’acqua, che rappresentano due trend in crescita nel prossimo decennio.
In quanto componente fondamentale della mitigazione del clima aziendale, le NCS stanno quindi diventando un business, rappresentando circa il 40% dei crediti sul mercato volontario del carbonio, rispetto al solo 5% nel 2010.
Un terzo della riduzione delle emissioni
Se vogliamo limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi celsius sopra i livelli preindustriali, allora dovremmo ridurre le emissioni di almeno il 50%, che significa 23 miliardi di CO2, entro il 2030.
McKinsey calcola che i progetti NCS potrebbero produrre quasi un terzo di tale obiettivo, circa 7 miliardi di CO2 all'anno entro la fine di questo decennio.
Ipotizzando un prezzo indicativo per tonnellata di 200 dollari, stiamo parlando di un mercato - quello dei crediti di carbonio - del valore di 100 miliardi e parte di questo flusso verrebbe dirottato verso i paesi del sud del mondo.
Rischio 'green washing': le grandi aziende ci marciano
Ad esempio, Amazon sta spendendo 10 milioni di dollari per ripristinare 1,6 milioni di ettari di foresta negli Stati Uniti; Nestlé sta investendo per porre fine alla deforestazione e al ripristino delle foreste in Ghana e Costa d'Avorio; Shell sta piantando cinque milioni di alberi nei Paesi Bassi.
Walmart si è impegnata a raggiungere la carbon neutrality entro il 2040 e a ripristinare acri di terra e chilometri quadrati di oceano. Aziende come Unilever e PepsiCo si sono impegnate specificamente sulle NCS, riconoscendo l'importanza di impegnarsi lungo la catena del valore con agricoltori e coltivatori, che sono fondamentali per proteggere e ripristinare paesaggi e foreste.
Certo il rischio, come evidenzia McKinsey stessa, è che le aziende usino l’acquisto di crediti di carbonio per evitare di affrontare la propria impronta di carbonio, che invece deve rimanere la priorità.