Milano: una ripartenza difficile per molti
Tante criticità, tante persone ai margini, ma anche una grande generosità da parte dei cittadini. Così Caritas Ambrosiana descrive Milano all'indomani del lockdown.
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Indipendentemente dall’evolversi della situazione sanitaria in senso stretto, avremo a che fare ancora molto a lungo con l’eredità del coronavirus. Un’emergenza così trasversale e improvvisa ha colpito con particolare veemenza le fasce di popolazione che, per vari motivi, si rivelano più sole e fragili.
Considerato che una metropoli come Milano è uno specchio piuttosto fedele delle difficoltà economiche e sociali che molti stanno attraversando, abbiamo raggiunto Caritas Ambrosiana, che se ne occupa giorno dopo giorno. Ecco la testimonianza di Francesco Chiavarini.
Dall'inizio del lockdown è cambiato l'identikit delle persone che si rivolgono a Caritas Ambrosiana?
Ci siamo accorti presto del fatto che dentro la crisi sanitaria stava montando una crisi sociale, perché già nelle prime settimane hanno iniziato a chiederci aiuto persone che non si erano mai presentate prima ai nostri sportelli.
In genere si trattava di persone che avevano un lavoro irregolare con cui bene o male riuscivano a sostenersi, ma l’hanno perso all’inizio dell’emergenza sanitaria. Mi riferisco per esempio alle colf e badanti non in regola: alcune non sono più state chiamate dalle famiglie per paura del contagio, altre erano impossibilitate a spostarsi perché non potevano dimostrare di essere dirette verso un luogo di lavoro.
Poi sono arrivati i lavoratori che avevano fatto richiesta di cassa integrazione ed erano ancora in attesa dell’indennizzo. Oppure lo ricevevano, ma l’importo era insufficiente per mantenersi in una città come Milano. Si tratta ad esempio di addetti alle pulizie nei grandi alberghi, camerieri o lavapiatti dei ristoranti… in sintesi, mansioni umili e con contratti fragili nei settori più profondamente colpiti dal Covid-19. Non avendo messo da parte risparmi, queste persone si sono trovate in difficoltà già dalla terza o quarta settimana di chiusura.
Avete raccolto dei dati sulle attività di Caritas Ambrosiana negli ultimi mesi?
Questi nuovi utenti hanno raddoppiato il numero di persone che assistiamo dal punto di vista alimentare, che solo nel comune di Milano sono passate da 2.500 a 5mila. Nell’intera diocesi (che copre parte delle province di Lecco, Varese e Monza e Brianza, ndr) siamo a circa 16.500. L’assistenza alimentare viene erogata attraverso due canali, entrambi potenziati in occasione del Covid-19:
- il canale tradizionale è costituito dal pacco viveri distribuito dai centri di ascolto Caritas, che sono sportelli presso le parrocchie. Nel comune di Milano è stato riorganizzato, in collaborazione con l’amministrazione. Ora i volontari della Caritas, della Protezione Civile e del Comune portano i pacchi viveri nei quartieri, distribuendoli direttamente ai soggetti in difficoltà segnalati dai servizi sociali e dai centri d’ascolto;
- abbiamo istituito anche gli empori della solidarietà. Ad oggi ce ne sono otto nella diocesi, di cui tre a Milano (nei quartieri di Niguarda, Lambrate e Barona). Con l’apertura del quarto a Villapizzone chiuderemmo il cerchio delle periferie.
Gli empori vengono riforniti grazie alle donazioni delle eccedenze alimentari della grande distribuzione, in prevalenza prodotti a lunga scadenza (pasta, riso, omogeneizzati, scatolame) o per l’igiene (detersivi, saponi ecc.).
L’utente sceglie ciò di cui ha bisogno, si dirige alla cassa e non paga con il denaro, ma facendosi scalare i punti da una tessera che gli è stata assegnata dal centro d’ascolto, in base al suo Isee e ai componenti del suo nucleo familiare.
Si tratta di persone in forti difficoltà economiche che, pur di sostenere le spese inderogabili come affitto e bollette, rischierebbero di dover risparmiare sul cibo. Attraverso gli empori distribuiamo 5,5 quintali di generi alimentari.
Al di là delle misure di sostegno immediato, sono stati attivati dei progetti per il medio-lungo termine?
Tutte queste misure erano esistevano già, sono state potenziate con il Covid-19 e rimarranno anche dopo, anche se auspichiamo che sempre meno persone ne abbiano bisogno.
Una misura di emergenza è il Fondo San Giuseppe istituito il 21 marzo dalla diocesi di Milano per aiutare chi ha perso il lavoro o ha subito un forte calo di reddito. È stato finanziato con 6,5 milioni di euro: 2 sono provenienti dalla Curia, altri due dal Comune e il resto dall’abbondante generosità dei cittadini. Tuttora è aperto ai contributi volontari. Le risorse vengono distribuite direttamente alle persone in difficoltà, tramite bonifico o assegno consegnato dal parroco, che varia dai 400 agli 800 euro a seconda della composizione del nucleo familiare.
Quando il Fondo San Giuseppe si esaurirà, verrà rifinanziato e sostenuto il Fondo Diamo Lavoro, che esisteva già prima ma era stato congelato dalla crisi. Viene sempre alimentato dalle donazioni ma, invece di distribuirle direttamente alle persone, finanzia i tirocini in azienda.
Il meccanismo si regge su un patto di fiducia tra Caritas Ambrosiana e l’imprenditore: noi lo solleviamo dall’onere di pagare il tirocinio, lui si impegna a trasformarlo in un impiego stabile (se ci sono le condizioni). Questo è uno strumento di politica attiva del lavoro che potrebbe essere molto utile nella fase di ripartenza, per riqualificare le persone verso nuove mansioni e un nuovo contesto.
Sempre pensando al futuro, abbiamo lanciato il progetto “Nessuno resti indietro” focalizzato sul digital divide, tema che il Covid-19 ha messo in luce. Fra i circa trecento ragazzi seguiti dai doposcuola parrocchiali nella diocesi, circa uno su due non è riuscito a seguire la didattica a distanza e uno su cinque non possiede un pc.
Questo significa che c’è un problema culturale. La scuola a distanza non funziona nelle famiglie povere e numerose, in cui il bambino magari non ha un computer, una cameretta in cui studiare in tranquillità o un genitore in grado di affiancarlo. Il nostro progetto consiste nell’acquistare i PC e affidarli in comodato gratuito ai ragazzi che frequentano il doposcuola, mettendoli in contatto con un volontario che li aiuta a distanza nello svolgimento dei compiti.
Un’ultima iniziativa avviata in questi giorni è dedicata agli anziani, che hanno risentito di più dell’emergenza sanitaria. Molti di loro si sentono impauriti, magari perché il contagio ha toccato da vicino coniugi, parenti e amici, e rischiano di ritrovarsi isolati nelle loro case. Bisogna aiutarli a uscire piano piano dalla quarantena e abituarsi a una nuova normalità.
Per questo abbiamo istituito il telefono d’argento gestito da quindici volontari, che a turno rispondono alle telefonate delle persone anziane, assistendole e indirizzandole a servizi specialistici. Il Covid-19 è stato un grande trauma e va trattato come tale. Esistono ferite nascoste che condizionano la vita delle persone e vanno curate dagli specialisti.
Caritas Ambrosiana è alla ricerca di volontari per questo periodo? Se sì, avete esigenze specifiche?
Già durante l’emergenza abbiamo chiesto la collaborazione di nuovi volontari, anche per sostituire gli over 65 che non potevano più essere operativi presso gli sportelli o i centri d’ascolto.
Anche grazie allo smart working, sono arrivati molti quarantenni-cinquantenni che si sono trovati a disporre di tempo libero in più. La loro disponibilità è stata una grande risorsa per noi e speriamo che venga riconfermata anche nei prossimi mesi.
Un caso emblematico è quello delle Case Bianche del quartiere Forlanini. Lì ha sede un centro diurno dove gli anziani si ritrovano per attività ricreative, segnalano le loro necessità, vengono accompagnati alle visite mediche, ricevono assistenza per piccole commissioni e così via. Nonostante la chiusura per il lockdown, ma il servizio è rimasto attivo grazie a una staffetta tra i volontari storici e quelli nuovi. I primi hanno continuato il servizio di ascolto telefonico, i secondi hanno consegnato spesa e farmaci e domicilio. Auspichiamo che questo modello resti in vigore anche dopo l’emergenza.
Il Covid-19 ha messo in luce tantissimi problemi, ma ci ha anche fatto capire che ci sono molte risorse. Come dimostra l’esempio del Fondo San Giuseppe, i cittadini si sono resi disponibili in prima persona, dimostrando grande generosità.