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COP26 di Glasgow, terminati i lavori sul clima

La 26esima edizione della COP è terminata. Per molti l'ennesima occasione persa. Alcuni impegni concreti ci sono, anche se pochi.

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La Scozia ha ospitato la 26esima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, meglio cononosciuta con l’acronimo COP26, presso lo Scottish Exhibition Centre di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021.

I negoziati sul clima ha costituito il più grande vertice internazionale che il Regno Unito abbia mai ospitato: oltre 30.000 delegati, tra cui Capi di Stato, esperti climatici e attivisti, riuniti per concordare un piano d’azione coordinato per affrontare i cambiamenti climatici.

La Cop di Glasgow è stata caricata di molte aspettative. “Una Cop non è fatta per risolvere i cambiamenti climatici”: questa è stata la frase più usata da parte dei delegati in Scozia Peccato che era ciò che tutto il mondo si aspettava, ovvero impegnarsi a mitigare gli effetti della crisi climatica in corso. Vediamo come è andata.
 

Che cos'è la COP?

Prima un passo indietro. Cos'è una Cop? Per quasi tre decenni le Nazioni Unite hanno riunito quasi tutti i paesi della terra per i vertici globali sul clima – chiamati COP – che stanno per “Conferenza delle parti”.

Dalla prima conferenza tenutasi nel 1992 a Rio de Janeiro, i cambiamenti climatici sono passati dall'essere una questione marginale a diventare una priorità globale.

L’obiettivo delle COP è sempre stato quello di giungere a un accordo comune tra le nazioni su come affrontare la crisi climatica, ponendo degli obiettivi e perseguendoli insieme. 

Nel 2021, i leader mondiali arrivano in Scozia insieme a decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini per due settimane di colloqui.
 

La fine del carbone è sancita, ma ci vorrà troppo tempo

Si può dire che la Cop26 si è chiusa con un bicchiere decisamente mezzo vuoto e un testo di compresso che permette qualche - timido - passo in avanti e immensi divari da colmare.

Era difficile mettere d’accordo tutti i paesi del mondo (dal più ricco al più povero). Perlomeno, rispetto alle Cop precedenti, in questo testo finale si cita la necessità di eliminare (seppure troppo gradualmente) i combustibili fossili e, a conti fatti, possiamo dire che ci stiamo impegnando effettivamente ad evitare l’apocalisse climatica, anche se gli sforzi da fare per contenere il riscaldamento entro 1,5 gradi centigradi sono ancora molti.

Prima di tutto che i paesi accettano, per la prima volta, di intraprendere un “phase down”, cioè una riduzione graduale del carbone, e un’eliminazione - anche questa graduale - dei sussidi alle fonti fossili.

Eppure, la formula che fissa tali impegni nell’accordo si è annacquata per mano di Cina e India che hanno costretto tutte le altre nazioni ad accettare un declassamento da “phase-out” (uscita totale) alla più morbida “phase-down”.

Il premier indiano Nerendra Modì aveva già attirato critiche a inizio dei lavori per aver fissato al 2070 la data in cui l'India avrebbe iniziato a ridurre le proprie emissioni.

La Cina, il cui presidente aveva disertato l'inaugurazione della Cop, aveva annunciato un impegno congiunto con gli Stati Uniti per lavorare insieme per raggiungere l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale a non oltre +1,5 °C, senza però esplicitare i dettagli tecnici.

Se da una parte, quindi, siamo costretti a subire i diktat di grandi inquinatori come Cina e India, dall’altra possiamo però affermare che la fine del carbone è sancita.
 

Ridurre i gas nocivi, ma non si sa come

Inoltre, il patto ha il merito di aver introdotto dei meccanismi tecnici importanti, che renderanno l’azione sul clima più efficace. Per esempio, sulla trasparenza: i paesi dovranno contare, riportare e farsi valutare dall’Onu le proprie emissioni.

E poi ci sono due aspetti importanti, dei quali si è parlato a lungo ma ancora non sono state chiarite le modalità per raggiungere dei risultati effettivi.

Da una parte è stata riconosciuta l’importanza di sostenere soprattutto i meno abbienti e più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici ma il testo parla genericamente di “dialoghi” da avviare nei prossimi due anni.

L’altro blando annuncio riguarda l’invito a ridurre i gas nocivi diversi dal biossido di carbonio entro il 2030, metano incluso. Anche qui, manca del tutto un piano concreto.
 

Una firma comune contro la deforestazione

Il compromesso di Glasgow lascia un po’ l’amaro in bocca. Per molti era inevitabile questo risultato.

Per usare le parole che John Kerry, inviato sul clima degli Usa, ha usato per commentare i lavori della Cop “se tutti si lamentano significa che ciascuno ha fatto un passo indietro”.

Detto questo, qualche impegno per il prossimo decennio c’è. Il prossimo step è quello di tornare a sedersi a un tavolo nel 2022 con i piani di riduzione delle emissioni aggiornati.

Nel caso dell’Italia, l’impegno del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani di terminare i sussidi fossili internazionali entro la fine del 2022 è particolarmente rilevante.

Finora il nostro paese ha manifestato un atteggiamento molto titubante, rientrando negli accordi di cui via via si è parlato quasi sempre all’ultimo minuto.

Se vogliamo avere davvero quel ruolo di leader mondiale, più volte auspicato dal nostro ministro in numerose occasioni, allora è il caso di dimostrarlo, a partire dalla nostra propositività e ambizioni climatiche.