Com’è andata a finire la Cop28 di Dubai
La Cop28, la Conferenza delle parti sul clima che si è tenuta a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, si è chiusa con l'approvazione del primo Global Shocktake. Cerchiamo di capire di cosa si tratta, quali sono i suoi passaggi più incisivi e quali, invece, i più controversi.
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©Cop28 / Christopher Pike
È stata divisiva fin dal primo istante la ventottesima Conferenza delle parti sul clima (Cop28), che si è tenuta tra fine novembre e inizio dicembre 2023. Anzi, fin dalla designazione di un Paese ospite – gli Emirati Arabi Uniti – che si è arricchito grazie ai proventi del petrolio, cioè grazie a uno dei principali responsabili del riscaldamento globale dal quale ora la comunità internazionale prova a mettersi ai ripari. Fin dalla scelta di affidarne la presidenza a Sultan Ahmed al-Jaber, a capo di Adnoc, la compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi. Non poteva non essere divisivo anche il suo esito finale, l’attesissimo Global Shocktake che, dopo un viavai di bozze più o meno deludenti, è stato approvato per consenso dalle 198 Parti il 13 dicembre.
Cos’è il Global Shocktake approvato alla Cop28 di Dubai
Prima di descrivere nei dettagli i contenuti nel documento, è bene fare un passo indietro. Tornando per la precisione alla Cop21 del 2015, quando fu approvato l’Accordo di Parigi sul clima. Un documento di portata storica, con il quale la comunità internazionale si impegnò a contenere l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale, facendo tutto il possibile per restare ben al di sotto degli 1,5 gradi.
Come raggiungere questo obiettivo? Ogni singolo Stato è tenuto a mettere nero su bianco le proprie promesse di riduzione delle emissioni (nationally determined contributions, ndc), inviandole all’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici).
L’articolo 14 dell’Accordo di Parigi prevede che gli impegni delle singole nazioni vengano sottoposti a una revisione ogni cinque anni, al fine di misurare il loro livello di ambizione e capire se il mondo sia sulla traiettoria giusta. Questa revisione si chiama, appunto, Global Shocktake ed è stato uno degli obiettivi chiave della Cop28 di Dubai.
Il punto fondamentale: la transizione di combustibili fossili
Un obiettivo raggiunto dopo due settimane di negoziati conditi da indiscrezioni e polemiche. Alle 08:13 italiane del 13 dicembre, infatti, il Global Shocktake è stato approvato da tutte e 198 le Parti, nella seduta plenaria che si è conclusa con una lunga standing ovation.
Il primo, storico risultato sta nel fatto che, per la prima volta, il documento finale di una Conferenza delle parti sul clima menziona esplicitamente i primi responsabili del riscaldamento globale di origine antropica: i combustibili fossili.
Alla Cop26 di Glasgow si era arrivati soltanto a citare il più sporco e obsoleto, il carbone, peraltro con una promessa molto blanda: ridurre gradualmente (phase down) il carbone unabated, cioè quello privo di sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 alla fonte.
Alla Cop28 il discorso si è allargato ai combustibili fossili nel loro insieme, le discussioni più aspre si sono incentrate proprio sulla terminologia da usare: l’ennesimo phase down oppure un più incisivo phase out, cioè “eliminare gradualmente”? Per superare l’impasse, è stata introdotta una terza formulazione: transitioning away, cioè applicare una transizione di combustibili fossili, cominciando già in questo decennio al fine di raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, come indica la scienza.
Da un lato, dunque, si mette un punto fermo. Dall’altro lato, lo si fa con una formula volutamente ambigua che lascia ampio margine di interpretazione. E potrebbe essere sfruttata da chi ha ogni interesse economico per continuare con il business as usual. Per quanto riguarda il carbone, si prevede solo di accelerare il percorso già definito a Glasgow.
Tra rinnovabili e sussidi “inefficaci” alle fonti fossili
Molto più chiaro e condiviso l’obiettivo sulle energie pulite: il testo prevede infatti di triplicare la capacità globale delle energie rinnovabili entro il 2030 e raddoppiare ogni anno il miglioramento dell’efficienza energetica, sempre da qui al 2030. Senza dubbio è un passo avanti ma, già prima del termine dei negoziati, l’Agenzia internazionale dell’energia aveva sottolineato quanto non fosse sufficiente. Così facendo, infatti, si ridurrebbe soltanto del 30% il gap nelle emissioni necessario per porsi sulla traiettoria degli 1,5 gradi centigradi.
Il Global Shocktake chiede anche di accelarere lo sviluppo e l’adozione delle tecnologie a zero e basse emissioni, citando – per la prima volta – il nucleare. Fa riferimento anche alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, in particolar modo nei settori in cui abbattere le emissioni risulta particolarmente arduo.
Altrettanto interpretabile il passaggio sull’eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili. Si riferisce infatti soltanto ai sussidi “inefficaci”, cioè – spiega – che non contribuiscono alla transizione giusta o alla lotta contro la povertà energetica.