Le foreste sono in affanno. Intervista a Francesco Rovero
Uno studio finito sulla copertina di Nature rivela come le foreste pluviali abbiano ridotto di un terzo la loro capacità di assorbimento dell’anidride carbonica negli ultimi 30 anni. L’unico ricercatore italiano del team ci spiega perché questa potrebbe rivelarsi una vera catastrofe.
Credit foto
©Muse.it
Il parallelismo è inevitabile: i polmoni verdi del nostro Pianeta sono in affanno.
C’è un’emergenza silenziosa che da tempo si sta consumando. Il contagio non avviene per stretta di mano: sono gli incendi (dolosi o dovuti alla siccità), la deforestazione selvaggia, l’insufficiente tutela delle aree tropicali intatte a fare delle foreste pluviali il grande malato bisognoso di cure urgenti.
Un importante studio che si è guadagnato a marzo 2020 la copertina di Nature ha rivelato che negli ultimi 30 anni la capacità di assorbimento di anidride carbonica da parte degli alberi delle foreste pluviali amazzoniche e africane si è ridotta di oltre il 30%: una catastrofe dal punto di vista del contrasto ai cambiamenti climatici.
Francesco Rovero, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e collaboratore di ricerca del MUSE, è l’unico italiano a far parte del grande team di ricerca internazionale che ha analizzato i dati di accrescimento e mortalità di 300.000 alberi, da 565 aree di foresta pluviale in Africa e Amazzonia. Un tracciamento durato oltre 30 anni a cura di una imponente rete di studiosi.
Secondo questa ricerca sono diminuite le aree tropicali di foresta intatta (in media del 19%;) e le foreste pluviali intatte che rimuovevano il 17% delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo oggi non reggono più e riescono ad assorbirne solo un 6%.
Partiamo da questi dati. Che minaccia rappresentano per l'uomo e per la tenuta degli ecosistemi locali e globali?
Ci sono due aspetti ripresi in questi dati:
- Il primo è la diminuzione delle foreste per via della distruzione diretta antropogenica (incendi, deforestazione, frammentazione), fenomeno noto che agisce in sinergia con la perdita della funzionalità delle foreste (oggetto dello studio), sia perché il taglio delle foreste rilascia CO2, sia perché diminuisce ulteriormente la capacità delle foreste intatte di assorbire CO2, banalmente in termini di superficie utile.
- Il secondo aspetto, trattato nello studio, riguarda la perdita della capacità delle foreste di assorbire carbonio, in atto e in aumento previsto, per via dell’aumento della siccità e delle temperature.
Le conseguenze possono essere drammatiche a vari livelli:
Localmente assistiamo a una perdita di funzionalità delle foreste si accompagna a mortalità degli alberi, soprattutto quelli più grandi, che implica un cambiamento delle foreste e della loro biodiversità in genere.
Globalmente, perdiamo la funzione di ‘polmoni verdi’ del pianeta di queste foreste, capaci di assorbire CO2 e quindi mitigare i cambiamenti climatici.
Sappiamo tutti che l’aumento della CO2, che genera l’aumento delle temperature, è deleterio per il pianeta tutto, e quindi per l’umanità.
Perché le foreste pluviali sono un "freno" ai cambiamenti climatici e a quali azioni umane è dovuto il rallentamento della loro attività?
Le foreste pluviali possono diventare un freno quando si inverte la loro funzionalità, che lo studio prevede potrebbe avvenire nel futuro, ovvero quando da serbatoi di CO2 le foreste diventano emettitori di CO2, che di fatto accelererebbe l’eccesso di emissioni nel pianeta.
Questo fenomeno è dovuto alla fisiologia delle piante, che con alte temperature e alta CO2 nell’atmosfera aumentano il loro metabolismo e invece che assorbire CO2 cominciano a rilasciarne, con la respirazione.
Il taglio delle foreste esaspera questo fenomeno, ma sono soprattutto le nostre economie, eccessivamente energivore e basate ancora in gran parte sui combustibili fossili, che creano le condizioni per il collasso delle foreste.
Quali azioni la vostra ricerca pone come necessarie e prioritarie per arginare questo fenomeno?
E’ evidente che si reduce la finestra di tempo che abbiamo per raggiungere un bilancio netto di emissioni zero, perché - detto in modo banale - possiamo contare sempre meno nelle foreste come leve dell’assorbimento di CO2, mentre dovremo accelerare l’adozione di economie e pratiche meno inquinanti: efficienza energetica, riduzione della deforestazione e distruzione degli ecosistemi naturali in genere e ripristino/miglioramento degli habitat (riforestazione e afforestazione).
Ha senso ricercare in fenomeni come la deforestazione una concausa al diffondersi di nuovi virus come il Covid19?
Premetto che non è questa materia di mia conoscenza e indagine. Sicuramente con la crescita della popolazione umana, che è alla soglia degli 8 miliardi, con la globalizzazione, con tutte le pratiche che ne conseguono, e alludo a mercato illegale e sempre più globale di fauna selvatica, maggiori e diffuse aree di contatto tra umani e fauna, alla deforestazione e all' agricoltura intensiva, a un'urbanizzazione elevata, fenomeni di trasmissione virale che in condizioni passate sarebbero probabilmente rimasti circoscritti possono diventare rapidamente diffusi.
Questi fenomeni rischiano di ‘esplodere’ a scale ampie e imprevedibili.
Ma al netto di queste connessioni globali che toccano anche le pratiche a danno delle foreste pluviali, e per cui concordo pienamente con la necessità ormai inderogabile di proteggere gli ecosistemi e cambiare i nostri stili di vita verso una reale sostenibilità, credo però anche che sia molto difficile identificare le cause primarie e i precisi fenomeni scatenanti.
Il rischio che corriamo è quello di generalizzare e attribuire cause
a fenomeni di fatto estremamente complessi e che richiedono una ricerca mirata.