Una nuova foresta in Cina
L'esecutivo di Pechino punta in alto e promette di piantare ogni anno una foresta grande come il Belgio. Ci sarà da fidarsi?
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Ogni anno una foresta grande come il Belgio
Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alla Cina, ci saltano subito alla mente le metropoli brulicanti e soffocate dal traffico, le steppe desertiche del Gobi, le vestigia dell’antica civiltà (prima fra tutte, la Grande Muraglia Cinese). Le foreste non sono certo la peculiarità più nota del gigante asiatico. Eppure il governo promette di piantarne 36mila chilometri quadrati all’anno, da qui al 2025. Per avere un termine di paragone, è poco più della superficie del Belgio.
La notizia, diffusa dall’agenzia Reuters, è stata diramata dal governo nel corso di una conferenza stampa. “Entro il 2035 la qualità e la stabilità degli ecosistemi – foreste, praterie, torbiere e deserti – sarà nel suo insieme migliorata”, ha promesso Li Chunliang, vicepresidente della Commissione statale per le foreste e i pascoli.
Ad oggi il 23,04% del territorio cinese è coperto da foreste. Ma questo è soltanto un dato medio, e intere regioni occidentali e settentrionali sono spesso nella morsa della siccità. Il governo si pone l’obiettivo di arrivare al 24,1% entro la fine del 2025. Non ha fornito dettagli sulle specie di alberi che verranno privilegiate, salvo accennare alla “riforestazione naturale”, cioè a strategie coerenti con le caratteristiche dell’habitat.
La Cina vuole azzerare le emissioni
Si tratta di una delle iniziative di punta con cui la Cina mira ad azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2060, in linea con quanto già promesso (ma con dieci anni di anticipo) dall’Europa di Ursula von der Leyen, dagli Usa di Joe Biden e da svariati Stati da un capo all’altro del Pianeta, come Nuova Zelanda e Regno Unito.
La promessa appare davvero coraggiosa, considerato che la Cina – da sola – nel 2019 ha emesso il 27% dei gas serra su scala globale. Questo dato clamoroso la colloca al primo posto nella poco invidiabile graduatoria delle emissioni, seguita (molto a distanza) dagli Usa con l’11% e dall’India a quota 6,6%.
Anche Pechino, siglando l’Accordo di Parigi, si è impegnata a sforbiciare queste emissioni e ha messo nero su bianco la sua strategia attraverso le cosiddette nationally determined contributions, piani dettagliati che sono stati richiesti a tutti i firmatari. Peccato però che tali piani siano “largamente insufficienti”, a detta del think tank Climate Action Tracker.
Pechino non vuole rinunciare al carbone
Queste ambizioni verdi stridono fortemente con le 1.058 centrali a carbone ancora attive nel Paese, che forniscono circa la metà della capacità globale. C’è di più. Stando a quanto riportato da Greenpeace, le amministrazioni locali nella prima metà del 2021 hanno dato il via libera alla costruzione di altri 24 impianti, con una capacità complessiva di 5.2 GW.
Si tratta pur sempre di un calo considerevole rispetto a un anno prima, quando si è assistito a un vero e proprio boom, motivato dalla volontà di risollevare l’economia dopo il lockdown. Resta il fatto che, così facendo, la capacità complessiva salirebbe a 104,8 GW, abbastanza per alimentare (a carbone) l’intero Regno Unito.
Prima del 2026 non ci fa cenno a un abbandono (nemmeno parziale) del combustibile fossile più sporco in assoluto. Un paradosso, in un momento storico in cui gli scienziati ci esortano a fare tutto il possibile per fermare la crisi climatica prima che sia troppo tardi.