I giganti del tech hanno a cuore l'ambiente?
Apple, Alphabet, Amazon, Facebook e Microsoft: l’enorme potere economico di questi cinque giganti del tech si traduce anche nella possibilità di influenzare la politica. Di rado, però, ne approfittano per difendere il clima.
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Il potere (e la responsabilità) dei giganti del tech
Apple, Alphabet (la holding di Google), Amazon, Facebook e Microsoft. Presenze silenziose delle nostre giornate, questi giganti del tech sono anche assoluti pesi massimi del sistema economico e finanziario globale.
Da soli rappresentano il 25 per cento del valore dell’indice S&P 500, costituito dalle cinquecento aziende statunitensi dalla maggiore capitalizzazione. La pandemia da coronavirus, se possibile, li ha resi ancora più potenti. Qualche esempio? Amazon ha assunto oltre 420mila addetti in dieci mesi, arrivando a un totale di 1,2 milioni. Con il boom del lavoro da casa, Microsoft ha visto crescere del 50% il ramo del cloud.
Per riprendere un celebre adagio, da un grande potere derivano grandi responsabilità. Compresa quella di fare la propria parte per il futuro del Pianeta.
La transizione ambientale dei colossi della tecnologia
Sul fronte della transizione ambientale, i giganti del tech non si sono tirati indietro.
Basti pensare a Google che già nel 2007 aveva raggiunto la carbon neutrality, riducendo le proprie emissioni di gas serra e compensando la quota residua fino a raggiungere il saldo zero, e ormai ricava il 100% della sua elettricità dalle fonti rinnovabili. La sfida per il 2030 è quella di diventare carbon free: ciò significa che qualsiasi operazione da parte degli utenti, come l’invio di una mail o la visione di un video su YouTube, non contribuirà all’emissione di CO2 in atmosfera.
Hanno fatto il giro del mondo anche le immagini dell’avveniristico Apple Park di Cupertino, in California, certificato Leed Platinum, in cui viene prodotta talmente tanta energia rinnovabile da poter cedere alla rete pubblica quella inutilizzata. Entro il 2030 Apple promette di azzerare la carbon footprint non solo di stabilimenti produttivi e uffici, ma anche del ciclo di vita di ogni prodotto.
Uno sguardo alle attività di lobbying per il clima
Ma questo non è l’unico modo con cui i giganti del tech possono spostare gli equilibri. Lontano dalle luci della ribalta, presentano le loro istanze agli esponenti della politica. In una parola, svolgono attività di lobbying, come qualsiasi altra potenza economica.
Ecco, in queste sedi sono molto più titubanti all’idea di battersi per il clima. È quanto emerge da un report del think tank indipendente InfluenceMap. Quando ne parlano, si focalizzano più che altro su regole tecniche direttamente legate alle loro operazioni o alle loro strategie. Nulla di paragonabile a un’azienda del calibro di Unilever che esorta apertamente i governi a fare tutto il possibile per contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi.
C’è dell’altro: Apple, Alphabet, Amazon, Facebook e Microsoft fanno tutte parte di alcuni gruppi che si stanno battendo contro l’introduzione di misure funzionali al rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima. Senza mai muovere un dito per convincerle a cambiare rotta. Tra queste organizzazioni ci sono per esempio la Camera di commercio statunitense, la National Association of Manufacturers, BusinessEurope e la Japan Business Federation.
La conclusione a cui giungono gli autori del report è netta. “Ai governi di tutto il mondo serve un chiaro segnale da parte delle aziende sul fatto che le regolamentazioni legate al clima sono necessarie e saranno accolte con favore. Ad oggi, questo segnale da parte delle Big Tech non è chiaro”.