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Il mercato dell'usato potrebbe doppiare la fast fashion, entro il 2030

Secondo un report di Thredup - servizio online di abbigliamento di seconda mano attivo negli Stati Uniti - il mercato dell'usato è destinato a crescere vertiginosamente nel prossimo futuro, fino a doppiare le vendite della fast fashion entro il 2030.

Mercato della moda di seconda mano

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©studiograndouest / 123rf.com

Svolta sostenibile per il mercato della moda, che promette di andare ben oltre la produzione responsabile di abiti, prediligendo il riuso e il second hand.

I dati raccolti nell'edizione 2021 del report di Thredup - negozio online di abbigliamento di seconda mano con sede negli Stati Uniti - insieme alla società di ricerche di mercato GlobalData, parlano chiaro: il mercato della rivendita sta crescendo a un ritmo undici volte più veloce rispetto alla vendita al dettaglio tradizionale e ci si aspetta un ulteriore boom nei prossimi dieci anni.
 

Boom del mercato della moda di seconda mano, il rapporto di Thredup

Secondo l'analisi di Thredup, ci si attende che il mercato dell'abbigliamento di seconda mano arrivi a valere 84 miliardi di dollari entro il 2030, oltre il doppio rispetto all'industria della fast fashion, che secondo le stime dovrebbe giungere a circa 40 miliardi di dollari.

I dati suggeriscono, inoltre, che la moda di seconda mano stia crescendo a un ritmo molto più rapido rispetto al settore della moda sostenibile. Da due anni a questa parte, in particolare, i consumatori si sono rivolti sempre di più alla rivendita di abiti usati, grazie all'emergere di siti di second hand che offrono capi e invitano gli utenti a mettere in vendita i propri in maniera facile e sicura.

Per quest'anno la stima è di 118 milioni di consumatori che hanno provato o sono intenzionati a provare a rivendere i propri capi, rispetto ai 36,2 milioni di neo-venditori del 2020. Il trend è promettente in quanto il 76% di persone che non hanno mai sperimentato la compravendita di abiti usati sono aperti a provarla nel breve periodo.
 

Identikit dei “consumatori di seconda mano”

I millennials e la Generazione Z risultano essere grandi fan dello shopping sostenibile. Tuttavia, la ricerca ha mostrato un calo del numero di consumatori che hanno affermato di voler acquistare nuovi vestiti "green", in opposizione all'aumento di interesse nei confronti della moda di seconda mano. 

Tre, sostanzialmente, le ragioni riportate da Thredup a supporto di tale risultato: i consumatori ritengono che i prezzi dei nuovi capi etichettati come sostenibili siano troppo alti, che il settore sia troppo spesso contaminato dal greenwashing e che non sempre sia capace di comunicarsi con la dovuta trasparenza.

L'analisi sottolinea inoltre come, tendendo alla circolarità, alcune inclinazioni proprie dei membri della Generazione Z li rendano interlocutori ideali per il mercato della moda usata.

  • Da usa e getta a riutilizzabile: la Generazione Z ha il 165% di probabilità in più di considerare il valore di rivendita di un capo prima di acquistarlo.
  • Dalla proprietà unica alla multiproprietà: gli Z hanno l'83% di probabilità in più di considerare la proprietà di un oggetto come temporanea.
  • Dalla spazzatura alla rivendita: la ricerca fa registrare un 33% di probabilità in più da parte della Generazione Z di possedere vestiti di seconda mano.


Al di là delle classificazioni generazionali, i consumatori “post-pandemia” si rivelano di per sé propensi a valutare la compravendita nel settore del second hand:

  • un consumatore su tre tiene a indossare abiti più sostenibili rispetto al passato;
  • uno su due è più attento a contenere i costi relativi all'abbigliamento;
  • il 43% dei consumatori ricerca una maggiore qualità;
  • il 51% si dichiara contrario allo spreco di risorse ambientali, mentre il 60% è più attento ad evitare lo spreco di denaro rispetto al periodo pre-pandemia.

 

Usato vs nuovo, quanto si risparmia in termini ambientali

I modelli di business circolari, inclusa la compravendita dell'usato, potrebbero consentire all'industria di ridurre circa 143 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra nel 2030. Per allinearsi con il percorso di riduzione di 1,5 gradi [mirato dall'accordo sui cambiamenti climatici di Parigi], entro il 2030 abbiamo bisogno di vivere in un mondo in cui un capo su cinque viene scambiato attraverso modelli di business circolari”. Quanto si legge nel report "Fashion on Climate" (McKinsey & Company e Global Fashion Agenda, 2020) sottolinea il ruolo chiave che una rivoluzione dell'industria della moda può giocare nella sfida imposta dalla crisi climatica.

Attualmente il settore funziona secondo un modello lineare, responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra. La cultura della moda usa e getta - denuncia il report di Thredup - perpetua il problema, con il consumatore medio che scarta i vestiti dopo un utilizzo di sole 7 o 8 volte

Il futuro del comparto deve, dunque, tendere a una economia circolare. In questo senso, l'acquisto di un articolo di seconda mano sostituisce la necessità di produrre un nuovo prodotto, salvando i capi di abbigliamento dalle discariche, eliminando i gas serra e abbattendo lo spreco di risorse (acqua, energia) propri della fase di produzione. L'acquisto di un articolo di seconda mano risparmia al pianeta 7,89 kg di emissioni di CO2, riducendo la sua impronta di carbonio dell'82%.