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Nevica plastica sui ghiacciai valdostani

200 milioni di frammenti all'anno nevicano sulle montagne della Valle D'Aosta: 80 milioni sono microplastiche. E' il risultato di una ricerca condotta dalla cooperativa ERICA, dallo European Research Institute e da VdATralier, realtà organizzatrice del Tor des Géants®.

report Nevica plastica, Alpi valdostane

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© Claudio Bruni / 123rf.com

Una ricerca effettuata sulle nevi residue d'alta quota in Valle d'Aosta dimostra la presenza di microplastiche. I campionamenti effettuati in occasione del Tor des Géants 2019, una delle gare di trail-running più dure al mondo, testimoniano come il problema delle microplastiche sia sempre più pressante.

La Cooperativa E.R.I.C.A., in collaborazione con lo European Research Institute e VdATralier, società che organizza il Tor des Géants e l’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale (AICA) ha condotto nel mese di settembre 2019 una campagna di campionamenti sulle nevi residue dell’inverno e primavera precedente, i cui risultati sono stati pubblicati in un primo dossier intitolato “Nevica Plastica”.
 

Venticinque chili di plastica all'anno

I ricercatori hanno stimato che ogni anno sulla regione cadrebbero 200 milioni di particelle di cui 80 milioni di microplastiche. In pratica “nevicano” ogni anno 25 chili di plastica sulle montagne più alte d’Italia.

Valore molto probabilmente sottostimato dal momento che le nevi, terminato l’inverno, con l’aumento delle temperature, fondono e riversano il loro contenuto nei ruscelli e nei torrenti che scendono a valle.

I campioni di neve sono stati analizzati dall’ARPA Valle d’Aosta in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, sotto la direzione dei professori Marco Parolini e Roberto Ambrosini del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell'Università degli Studi di Milano.
 

Origine delle microplastiche

Ma da dove arrivano questi frammenti? Difficile dirlo. Quel che è certo è che “i risultati dimostrano come anche negli ecosistemi di alta montagna, considerati dall’immaginario collettivo come incontaminati, siano presenti le microplastiche” spiega Marco Parolini, professore associato e ricercatore di Ecologia al Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell'Università degli Studi di Milano.

Vi arrivano attraverso il trasporto atmosferico o si originano in loco dalla degradazione dei rifiuti plastici ivi abbandonati e/o dalla usura dei capi tecnici o della attrezzatura di montagna” aggiunge Parolini.

È per questo estremamente importante non abbandonare alcun rifiuto plastico in questi ecosistemi al fine di prevenire la formazione di microplastiche e preservarne la loro identità pristina”.
 

La plastica più presente è il polietilene

I campionamenti sono stati eseguiti su quattro siti toccati dal Tor des Géants, siti con caratteristiche diverse: il rifugio Deffeys, nel comune di La Thuile, ai piedi dell’omonimo ghiacciaio, il rifugio Miserin, nel parco del Monte Avic, il rifugio Cuney, il più alto rifugio delle Alte Vie valdostane a oltre 2600 metri di quota e il Col du Malatrà a quasi 3000 metri di altitudine, che separa la Val Ferret dalla Valle del Gran San Bernardo.

Su 8 litri analizzati sono state trovate, a seguito di una rigorosa procedura analitica, 40 particelle di cui ben il 45% erano microplastiche, il 43% fibre di cellulosa, il 2% lana, mentre per il 10% non è stato possibile arrivare a un’identificazione univoca.

Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (39%), seguito dal PET (17%), dal HDPE (17%) e dal poliestere (11%), mentre un contributo inferiore è dato dal LDPE (6%), dal polipropilene (5%) e dal poliuretano (5%), per la prima volta individuato dai ricercatori dell’ateneo milanese.

Vivo in me una doppia emozione, di soddisfazione, da ricercatore, per aver dimostrato che ci sia ancora molta strada da fare, andando ad indagare ambienti e matrici ancora mai studiate, ma anche di enorme preoccupazione, da divulgatore, perché ogni studio evidenzia come il problema dei rifiuti dispersi nell’ambiente, sia molto più grande di come possiamo immaginarcelo” conclude Roberto Cavallo, testimonial e ideatore dello studio.