Nell'Oceano Atlantico ci sono più microplastiche di quanto pensavamo
Da 12 a 21 milioni di tonnellate di frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri. È questo il bilancio di uno studio inglese pubblicato sulla rivista Nature Communication.
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Nell’Oceano Atlantico ci sono molte più microplastiche di quanto temevamo: da 12 fino a 21 milioni di tonnellate e solo nei primi 200 metri di profondità.
A renderlo noto è uno studio coordinato da Katsiaryna Pabortsava e Richard Lampitt del britannico National Oceanography Centre e pubblicato sulla rivista Nature.
Tre tipi di plastica
Durante la loro spedizione dal Regno Unito alle Isole Falkland, i ricercatori hanno rilevato fino a 7.000 particelle per metro cubo di acqua di mare. Il totale diventa quindi una quantità sufficiente per caricare 1.000 navi portacontainer.
I dati sono ancora più preoccupanti se si tiene conto che i polimeri presi in considerazione sono solo tre, ovvero polietilene, polipropilene e polistirene che da soli costituiscono più della metà dei rifiuti di plastica in mare.
Tali risultati confermano che la concentrazione complessiva di plastica nell’Oceano Atlantico potrebbe essere almeno 10 volte ciò che era stato stimato in precedenza.
Mascherine e inquinamento dei mari
Diversi gruppi ambientalisti hanno riferito che la mascherina usa e getta è ora uno degli elementi più comuni tra i rifiuti di plastica. Susannah Bleakley, dell'associazione benefica Morecambe Bay Partnership con sede in Cumbria, che coordina le pulizie delle spiagge, ha dichiarato a BBC News: "Ora troviamo più mascherine usa e getta che sacchetti di plastica”.
Purtroppo questi frammenti di plastica ci raccontano un inquinamento iniziato decenni fa. Pare impossibile quindi che una sostituzione immediata della plastica usa e getta possa arginare il problema.
"Dobbiamo insistere nel chiedere alle persone di ridurre il loro uso di plastica monouso e di fare più attenzione a come le persone smaltiscono la plastica" aggiunge Bleakley.
D’altro canto, studi scientifici come questo, aiutano a calcolare con precisione i danni che questo materiale sta causando al nostro pianeta e quindi indirizzare ricerca scientifica e volontà politica in una direzione diversa.