Salute degli oceani: siamo a un bivio. Intervista a Mariasole Bianco
Biologa marina il cui impegno è riconosciuto a livello internazionale, Mariasole Bianco ci spiega di quali "pandemie" soffrono i nostri oceani e come invece sarebbe importante preservarne la salute per il benessere (anche) dell'uomo.
Delfini nuotano vicino al porto di Cagliari, squali si avvicinano nelle acque costiere di Vibo Valentia e Mentone: piacevoli effetti del lockdown, ma anche promemoria di una relazione ormai da troppo tempo disarmonica tra uomo e natura.
Le pandemie che affliggono il mare hanno nomi diversi, ma sono altrettanto pericolose: sono l’acidificazione degli oceani, le temperature più calde delle acque anche in profondità, la perdita della biodiversità e l’aumento delle cosiddette “zone morte”, aree acquatiche in cui la presenza di ossigeno è scarsa o nulla.
Conosciamo più dello spazio che dei fondali marini del nostro pianeta. Tanto basta, però, per capire che occuparsi della conservazione di questi habitat significa avere a cuore il futuro (anche) dell’umanità.
Mariasole Bianco è biologa marina, riferimento internazionale per le politiche di conservazione degli habitat marini e presidente della onlus Worldrise. Ne 2019 è stata scelta dalle Nazioni Unite per presiedere, in occasione della Giornata mondiale degli oceani, un incontro dedicato proprio alle donne che si sono distinte per il loro impegno per la protezione dell’ambiente marino.
Come stanno gli oceani? È cambiato qualcosa in questi mesi di stop generalizzato delle attività umane a causa del coronavirus?
Gli oceani non se la cavano bene come la maggior parte degli altri ecosistemi del pianeta. Negli ultimi 50 anni i cambiamenti sono stati così drastici da cambiare la stessa composizione chimico-fisica dell'oceano.
Tante situazioni si includono nel grande problema dei “cambiamenti climatici”. Il riscaldamento globale, ad esempio, ha un effetto sugli oceani che, assorbendo il calore in eccesso presente in atmosfera, hanno subito un aumento delle temperature fino a 2.000 metri di profondità.
L’impatto su questa enorme massa blu è pericolosoa, eppure gli oceani sono essenziali: senza questa loro attività di assorbimento, la temperatura media in superficie sarebbe di oltre 36 gradi superiore a quanto sia ora.
A proposito di conseguenze: dello sbiancamento dei coralli dovuto alle temperature più alte del mare, ad esempio, siamo consapevoli, ma forse non fino in fondo. Il vero pericolo è che questo fenomeno in molti casi porta alla morte del corallo. Abbiamo già perso circa il 50% delle barriere coralline e alcune stime dicono che se continuiamo così le perderemo tutte entro la fine del secolo. Questo significa non solo perdere i coralli ma veri e propri ecosistemi che supportano e svolgono una funzione fondamentale per l’esistenza del 25% delle specie marine, 1 specie su 4 dipende dalle barriere coralline per la sua esistenza.
In questi mesi è cambiato qualcosa: la nostra onnipresenza nei luoghi ad alto traffico marino come i porti è stata sostituita dagli animali che si sono ripresi alcuni spazi. Attenzione a non fare lo sbaglio di pensare che in 2 mesi di lockdown si recuperino 50 anni di sovrasfruttamento.
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©Flickr NOAA
Ti occupi di ecosistemi marini. Anche quando parliamo di coronavirus ha senso cercare risposte, spiegazioni, insegnamenti, nel mare?
Certo nei fondali oceanici si nasconde un tesoro per l'umanità, però abbiamo mappe più dettagliate della superficie di Marte che non degli abissi del nostro pianeta che rimangono ancora largamente inesplorati.
Questo sicuramente è anche dovuto a una questione di priorità: un anno di budget di ricerca della NASA equivale a 1.600 anni di ricerca per la NOAA, l’agenzia di ricerca americana sugli oceani.
C’è vita anche senza luce del sole proprio vicino alle fonti idrotermali, che sono i camini del manto terrestre: ci sono batteri che con la chemiosintesi traggono nutrimento dai minerali che escono da questi camini e da lì ha origine un ecosistema che vive di questi batteri. In luoghi così estremi questi organismi hanno sviluppato delle sostanze molto particolari: ad esempio degli enzimi che consentono di sviluppare test diagnostici di coronavirus, Sars e Aids, come è stato recentemente pubblicato.
Sono già stati utilizzati per la componente antivirale eccellente: l’aspetto diagnostico e di cura a partire dall’esplorazione di questi luoghi è una realtà, ma conosciamo solo il 5% degli abissi, chissà cosa potremmo scoprire arrivando, che so, al 15%!
Superata l'emergenza, molto probabilmente torneremo a tuffarci nella crisi climatica perseverando in una ripresa all'insegna del "business as usual". Dal tuo osservatorio noti segnali diversi?
La pandemia stessa nasce da squilibri che noi abbiamo creato a livello ambientale e se non si cambia rotta nuove crisi saranno all’ordine del giorno e si susseguiranno continue emergenze anche sociali ed economiche.
Siamo a un bivio, o siamo disposti a rivedere il nostro modello di sviluppo e imparare dalla grande lezione che la pandemia ci ha dato o perderemo l’ultimo treno: le scelte dei prossimi mesi saranno decisive per i prossimi secoli.
La salute e l’ambiente sono beni comuni globali, global commons, dovremmo abbracciare la sostenibilità come priorità a livello mondiale per uno sviluppo che porti l’umanità al vero accrescimento. La pandemia ci ha insegnato come le distanze sociali e geografiche possono essere facilmente azzerate. Abbiamo creduto che quanto accadesse inizialmente in Cina non ci riguardasse come abbiamo la presunzione che non ci riguardino gli incendi in Siberia o lo scioglimento dei ghiacci in Artico.
Invece è tutto collegato: il sistema è unico, è globale e globalmente
andrebbe preservato. Oggi, riconoscersi come parte di un sistema e non come soggetto esterno, capace di manipolarlo senza subirne le conseguenze, è la consapevolezza più importante che l’umanità possa raggiungere.
Oltre che ricercatrice, sei fondatrice di una onlus, Worldrise. Cosa può fare ciascuno di noi per preservare gli oceani in modo consapevole?
Il fine ultimo dell’associazione Worldrise è la riconnessione tra uomo e natura nella consapevolezza che l’uomo è parte di un sistema e che un ambiente naturale riguarda la nostra stessa esistenza. In questa attività vogliamo dare alle persone gli strumenti per fare la differenza ed essere parte della soluzione ai problemi che affliggono gli ambienti marini e il nostro Pianeta.
Cerchiamo quindi di facilitare il cambiamento con strumenti creativi che coinvolgano in maniera efficace i nostri interlocutori accompagnandoli in questa traformazione dall’educazione nelle scuole alle scelte di consumo quotidiane.
Noi di Worldrise crediamo nella corretta informazione, nella sensibilizzazione e nell’azione. La divulgazione è fondamentale per rendere il sapere accessibile a tutti: è il primo gradino per imparare a conoscere le meraviglie, ma anche le problematiche di questo mondo. E conseguentemente agire.
“Pianeta oceano” è il mio libro in uscita a giugno, l’ultimo capitolo è interamente dedicato alle soluzioni che abbiamo a disposizione per cambiare rotta e le royalties saranno interamente devolute a sostenere le attività di Worldrise. Mi sono impegnata in questo lavoro ispirandomi a queste parole:
"Proteggiamo ciò che amiamo, amiamo ciò che conosciamo".
E la citazione non poteva che essere dell’esploratore e oceanografo Jacques Cousteau.